E’ stata la rivista Semana a… penetrare nel silenzio di Egan Bernal, con un’intervista uscita in Colombia nel numero della settimana entrante. Sulla copertina, Egan è ritratto con la madre Flor Marina e per la prima volta racconta i suoi ricordi dell’incidente, il dolore lancinante provato in quei minuti sull’asfalto, mentre si rendeva conto di chi cercava di girare delle immagini e del lavorìo del medico del Team Ineos Grenadiers che, tirando forte la gamba, ha arrestato la fuoriuscita di sangue.
«Era un normale allenamento con la squadra – racconta Bernal nell’intervista – alcuni erano sulla bici da strada, io su quella da crono. Dopo un po’ alcuni si sono fermati, io invece ho voluto continuare per conto mio. Una macchina mi scortava. La posizione sulla bici da crono è molto speciale, devi essere il più aerodinamico possibile. Fondamentalmente, devi avere la testa bassa e le braccia vicine. Arrivato a Gachancipa, ho guardato avanti e non c’era niente. Ricordo che stavo andando a 58 all’ora, che il vento era favorevole e che ho iniziato ad accelerare. Ho visto 62 km/h sul tachimetro quando ho colpito l’autobus».
Impatto pazzesco
L’impatto che si è visto da una telecamera di sorveglianza è stato violentissimo. Il pullman era fermo, Bernal viaggiava oltre i 60 all’ora.
«Per terra, non riuscivo a respirare. Stavo per svenire – racconta Bernal – quando sono riuscito a prendere un po’ d’aria. Ho alzato lo sguardo e ho visto il retro dell’autobus. Il meccanico che mi accompagnava ha subito chiamato il medico della squadra. E’ arrivato molto velocemente: sono vivo grazie a lui. Il femore era rotto, sembrava voler uscire dalla gamba. Dopo aver sganciato il piede dalla bici, il medico ha stabilizzato la frattura. Mi ha afferrato per la vita e altre due persone, non so se erano medici o sapevano qualcosa di medicina, lo hanno aiutato. Mi hanno afferrato il piede e hanno iniziato a tirare. Li ho pregati di smetterla, ma quello che hanno fatto mi ha aiutato a non perdere più sangue. In totale, ne ho comunque persi due litri e mezzo».
Mai sofferto tanto
Curiosi. Compagni preoccupati. L’ambulanza che non arriva, anche se alla fine il bilancio dell’intervento è rapidissimo. Il dolore per Egan, disteso sull’asfalto, è lancinante.
«Ero disperato – racconta – avevo dolore dappertutto, alla gamba, al collo, alla schiena, urlavo perché il dottore mi desse qualcosa per il dolore. Ho dovuto rimanere 15 minuti sdraiato sulla strada. Intorno a me le persone si avvicinavano, cercavano di filmarmi, alcuni cercavano di fermarli. Quando è arrivata l’ambulanza, ho chiesto loro di darmi degli antidolorifici, ma non ne avevano nemmeno loro! Volevo svenire perché soffrivo tantissimo. Il dolore era atroce, non ne ho mai provato tanto in vita mia. Sono passati 30 o 40 minuti tra la caduta e l’arrivo in ospedale».
Poteva morire
Lo operano subito. I ricordi saltano dal ricovero alle fasi successive all’intervento. Le parole del neurochirurgo da un lato gli gelano la schiena, dall’altro lo sollevano.
«Quando mi sono svegliato dopo l’operazione – racconta – mi sono reso conto che non era solo il femore ad essere rotto (Bernal si è anche fratturato la rotula, due vertebre, undici costole ed entrambi i polmoni sono stati perforati, ndr). Il neurochirurgo mi ha detto: potevi morire, con un incidente del genere avevi il 95 per cento di possibilità di diventare paraplegico. Ha aggiunto di aver operato centinaia di lesioni spinali di questa portata e che solo due erano andate bene. Ero solo il secondo! L’ho fatto bene. La prima settimana dopo l’operazione è stata molto dura, tutto ciò che volevo era che togliessero i tubi dai polmoni, perché mi facevano molto male. Da allora, i progressi sono stati molto rapidi».
Rischio in agguato
Nessuna colpa per nessuno, anche se è palese che la disattenzione sia stata sua. Il fatalismo è forse il modo migliore per non diventar matti.
«L’ultima cosa che voglio fare – dice Bernal – è accusare qualcuno. Non voglio incolpare me stesso o l’autista dell’autobus. E’ stato un incidente, punto. Non siamo in uno stadio di calcio dove potremmo allenarci tranquillamente. Quando percorro 270 chilometri da Zipaquira a Tunja andata e ritorno, possono succedere milioni di cose, devi esserne consapevole. I rischi si possono evitare, ma non posso smettere di allenarmi su strada, altrimenti non vincerò mai più il Tour de France».
Ai massimi livelli
E poi è il solito Bernal, quello che cerca motivazioni e sa infiammare i tifosi anche durante una convalescenza così complicata.
«Ora voglio tornare ai massimi livelli – afferma Bernal – ho fiducia, penso di potercela fare e penso che sarà veloce. I dottori si arrabbiano quando glielo dico. In verità non so se mi ci vorranno un anno o dieci anni, forse tre o sei mesi… Comunque, mi sento come se giù dalla bicicletta non saprei cos’altro fare. Prima dell’incidente stavo andando molto bene, avevo risolto i miei problemi alla schiena, ero in anticipo sulla mia preparazione. Ero fiducioso per il mio obiettivo dell’anno, il Tour de France. Lo vincerò di nuovo? Non lo so, è già difficile quando tutto va bene, quindi ora…».