Lo ritroveremo domattina con il numero attaccato sulla schiena a solcare le strade delle Alpi e riconoscere alcuni dei passaggi che all’ultimo Giro lo videro in rosa. Jai Hindley sembra sereno, con i capelli più lunghi e la risata divertita quando per qualche istante ci troviamo a parlare di Umbertone Di Giuseppe che lo accolse in Abruzzo al suo sbarco in Europa.
«Si lavora per quel Giro d’Italia che mi ha fatto conoscere – ammette – ma qualcuno mi conosceva già. Forse non avrei mai immaginato di arrivare alla partenza dell’ultima crono con la maglia rosa, ma il fatto di essere andato bene in montagna è il risultato di tanti anni di duro lavoro. Per cui, se mi volete chiedere se mi sia stupito di essere venuto fuori a quel livello, vi dico di no!».
Decisivo l’Etna
A dispetto del suo essere esile, il timbro di voce è quasi baritonale e ti rendi conto che tanti ragionamenti li abbia fatti e poi raccontati più e più volte. Piancavallo. Lo Stelvio. Campiglio. Sestriere. Sarà mai possibile che tutto si riduca alle tappe di cui s’è già tanto parlato e non ci sia da qualche parte il rammarico per un giorno che non è andato come se l’aspettava?
«Il giorno dell’Etna – dice e ci spiazza – quando ho perso quasi un minuto rispetto al mio compagno Kelderman. Magari se fossimo arrivati insieme, sarebbe stato un altro Giro. Ma non ho rimpianti, l’ho giocato al meglio che pensavo e facendo quel che mi è stato chiesto».
Inverno in Europa
L’inverno non è passato come al solito e anche in questo il Covid ci ha messo lo zampino. Niente caldo australiano a gennaio, bensì un inverno europeo come quello dei compagni.
«Non sono tornato in Australia a gennaio – ammette – dove di solito posso allenarmi a tutto gas. Sono restato in Olanda e quando faceva troppo freddo siamo andati in Spagna. Lo stacco invernale comunque è stato più lungo, perché di fatto ho finito di correre alla fine di ottobre. E poi quando ho ripreso, è stato subito chiaro che avrei dovuto lavorare per il Giro. Detto questo, non so dire se sarò uno dei favoriti, ma l’esperienza del 2020 sarà una buona base di partenza. Avremo una buona squadra, con Bardet che sarà un bel riferimento. E semmai mi scoccia aver dovuto abbandonare il Catalunya perché sono stato male. Il Tour of the Alps servirà a mettere nelle gambe i chilometri che mancano. Proverò a testare la mia forma, si andrà forte. Andiamo a divertirci. Il risultato non conta, la testa è sul Giro».
La terza settimana
L’Italia gli piace, Hindley ammette di avere un vero debole. Correre qui gli ha dato la sua vera dimensione di corridore, sin da quando si ritrovò a lottare per la maglia rosa al Giro d’Italia U23 del 2017, cercando con il compagno Lucas Hamilton, con lui al prossimo Giro, di sconfiggere l’imbattibile Sivakov di quegli anni.
«L’Italia – dice – mi ha aperto gli occhi su me stesso, non tanto per i risultati quanto per il coraggio di spingermi oltre il limite. Magari il Giro del 2020 non fa testo, è stato strano per tutti. Nessuno si sarebbe aspettato quel podio, nessuno avrebbe pensato a una corsa così selvaggia. Deve essere stato molto bello da vedere, molto duro però da correre. Quest’anno potrebbe essere lo stesso, ma mi auguro che si possa avere una gestione diversa delle tre settimane. L’anno scorso si è deciso tutto nella seconda, ma di regola il Giro si decide nella terza, sulle grandi montagne. E se penso che anche quest’anno ci sarà una cronometro come ultima tappa… ».
E Remco come sta?
Non lo ammette, ma aver perso la maglia rosa in quell’ultimo giorno a Milano gli fa abbassare lo sguardo e cambiare il discorso.
«Secondo voi – mettendosi nei panni dell’intervistatore – cosa ci dobbiamo aspettare da Evenepoel? Io non avrei mai scelto di debuttare in un grande Giro, anche se il suo incidente è stato davvero brutto. Gli auguro tutto il meglio, perché è un grande atleta».
Il bello del ciclismo è che ogni anno si riazzera la memoria e si ricreano nuove storie. La sua riprenderà da domani sulle montagne fra l’Austria e l’Italia, in attesa di riprendere in mano quel filo rosa strappato nel 2020 all’ultimo tiro.