CUSANO MUTRI – Tiberi si avvicina a Caruso che sta rispondendo a qualche domanda. Gli poggia una mano sulla spalla e gli dice: «Grazie vecio». Il tirare forte di Damiano ha permesso al laziale di guadagnare 9 secondi su Uijtdebroeks per la maglia bianca. Un italiano non conquista il primato dei giovani dal 2015 di Aru, vale la pena tenerlo d’occhio.
La cima del monte finalmente è baciata dal sole, anche se i gradi sono 13. Un’ora prima dell’arrivo pioveva così forte che per seguire la tappa e mangiare un panino ci siamo rintanati in un bar pieno di gente in cerca di riparo. Caruso si volta e gli fa un sorriso. I corridori si stanno rivestendo, dovendo nuovamente affrontare la discesa verso i bus. Giubbino termico, la mantellina, il fischietto al collo e giù, come se non avessero appena finito un’altra tappa del Giro d’Italia. Una di quelle dure con l’arrivo in salita in un posto sperduto e splendido. Il luogo si chiama Bocca della Selva, ricorda Camigliatello Silano, fra pioggia, verde dei prati e bosco.
«Almeno proviamo a fare qualcosa, no? Nella fuga mi sono trovato un po’ per caso – prosegue Caruso – perché su quello strappo duro eravamo molto vicini alla fuga. La UAE Emirates li teneva nel mirino e allora ho provato a seguire, anche perché dalla radio ci avevano detto che c’era una discesa tecnica. Praticamente mi sono ritrovato all’attacco e ho visto che c’erano tanti uomini di semi classifica, comunque importanti come Bardet, e ho chiesto all’ammiraglia cosa fare.
«Sono rimasto lì, mi hanno detto di non spendere. Forse ho sbagliato e ho perso l’attimo quando hanno attaccato Bardet e Tratnik, ma perché non avevo in testa di andare per la tappa. Sapevo che nel finale volevamo provare qualcosa del genere. Insomma, alla fine è stata una bella giornata».
L’importanza di provarci
Che la Bahrain Victorious avesse qualcosa per la testa si è capito quando si sono messi a tirare nella scia di Tratnik e Bardet. Dopo esserci chiesti come mai, ci siamo detti che forse avessero messo nel mirino la maglia bianca, anche se l’attacco finale di Tiberi (al pari di quello a Prati di Tivo) è parso un allungo per vedere se qualcosa finalmente succedesse. E il qualcosa sono i 9 secondi guadagnati sul belga della Visma-Lease a Bike.
Quando si è deciso che il momento fosse propizio, a Caruso è stato chiesto di rialzarsi e il siciliano ha raccolto il testimone da Zambanini, che quando lo ha visto, si è finalmente rialzato.
«Mi sembra di cominciare a stare meglio – prosegue Caruso, cambiando tono con impeto deciso – giorno dopo giorno un miglioramento deve esserci per forza, sennò sarei andato a casa. E adesso andiamo avanti, perché se nessuno ci prova, possiamo tornarcene tutti a casa e il Giro è finito».
Infila la mantellina e si sposta accanto, dove lo attendono per un’intervista in inglese. Non tutti i giornalisti sono saliti in cima alla montagna, perché lassù non c’è segnale e, come a Prati di Tivo, ci ritroviamo a scrivere questo articolo in una pizzeria di Piedimonte Matese: un tavolo e una presa di corrente in cambio della cena? Si può fare, venite pure…
Il sorriso di Zambanini
Zambanini arriva con calma dopo essersi staccato alla fine del lavoro. Il distacco di 9 minuti non riesce a togliergli il sorriso dal volto. Quel piccolo margine e l’essere comunque riusciti a portare a casa qualcosa danno un senso alla fatica di questa giornata partita dall’ombra del Santuario di Pompei.
«Inizialmente i piani – racconta il giovane trentino – erano di vedere come stava Antonio dopo il giorno di riposo. Quando abbiamo visto che stava bene, che rispondeva bene anche la radio, abbiamo deciso di fare la gara per lui. Per questo abbiamo fermato Damiano e tutti abbiamo lavorato fino all’ultimo pezzo della salita, dove ha provato ad attaccare. Si cerca di smuovere la corsa, la maglia bianca è sicuramente un obiettivo: anche quella, almeno. Ci stiamo avvicinando, il Giro è ancora lungo».
Battaglia per la fuga
Pogacar oggi ha lasciato fare. C’è stato un momento che la fuga è salita a 6’28” di vantaggio e qualcuno ha pensato che la maglia rosa volesse cedere il passo a Bardet, staccato di 7’51” nella generale. Ma era tutta un’impressione, giacché il lavoro della Bahrain Victorious, che pure serviva per preparare l’attacco di Tiberi, ha rimesso il francese nel mirino. Bardet infatti aveva 3’27” di ritardo dall’italiano. E comunque, quando Tiberi ha attaccato o ha provato a farlo, Pogacar si è messo subito nella scia: in certi casi, è bene non lasciare spazio a nessuno.
E Tiberi arriva che ha ripreso fiato e si è stretto nella mantellina, con il cappellino asciutto sotto il casco e l’asciugamano attorno al collo. Ha appena salutato i genitori che lo aspettavano dietro la transenna.
«E’ stata una battaglia difficile dall’inizio – dice – una lunga battaglia per la fuga. Per questo, quando Damiano è andato via, per noi andava benissimo. In finale poi abbiamo deciso di iniziare a tirare, anche perché davanti c’era ancora Bardet. Tutti i compagni hanno fatto un ottimo lavoro sull’ultima salita lunga. Poi abbiamo fermato Damiano dalla fuga perché facesse l’ultimo sforzo. Ha tirato per due-tre chilometri a un passo davvero alto e io ho provato a fare qualche attacco, provare a smuovere le acque per vedere come stessero gli altri. Le gambe sono buone, cercherò di provare ancora, se posso».
L’orgoglio italiano
Dice di aspettare la cronometro, che sarà il prossimo momento della verità, e conferma di essere uscito bene dal giorno di riposo: un tema ch elo teneva leggermente in apprensione.
«Sì, è vero – sorride – questa mattina non sapevo come sarei stato, perché dopo il giorno di riposo potresti avere qualche problema. In effetti dopo la partenza avevo strane sensazioni, ma dopo qualche chilometro ho iniziato a migliorare. Cosa ho provato quando ho attaccato? Finalmente anche noi siamo in gioco e possiamo dire la nostra. Possiamo fare qualcosa, perché non è da me restare anonimo in gruppo senza fare nulla. Nel senso che se non mi muovo è perché magari non ho gambe super. Ma quando mi sento bene, ho sempre voglia di dimostrare qualcosa. E poi finalmente mi sono tolto un peso di dosso. Alla fine è sempre bello dimostrare di esserci, soprattutto noi giovani italiani. Penso sia bello anche dare un po’ di spettacolo sulle strade di casa».