Nel preparare la valigia per il previsto periodo di altura pre Giro d’Italia, Filippo Fiorelli ci ha messo dentro anche tanti ragionamenti e sogni scaturiti da questa prima parte di stagione. Una prima parte davvero intensa per il siciliano, che ha assommato qualcosa come 31 giorni di gara, viaggiando tra Spagna e Emirati Arabi all’inizio con poche soddisfazioni personali ma tanti chilometri messi nelle gambe e i frutti si sono visti dopo.


Tornato in Europa infatti, il corridore della VF Group Bardiani ha iniziato a crescere di condizione, centrando una Top 10 alla Tirreno Adriatico, difendendosi più che bene nelle classiche francesi post Classicissima e infine archiviando una seconda parte di aprile da corridore di spicco, non uscendo mai dai primi 8 e svolgendo un ruolo da protagonista assoluto al Giro d’Abruzzo, chiuso con la vittoria nella classifica a punti a testimoniare la sua costanza di rendimento.
Risultati importanti soprattutto in proiezione, come spiega il palermitano dal suo ritiro: «Sono contento che il mio essere sempre davanti sia stato notato, ma d’altronde sarebbe stato difficile non accorgersi che sono sempre stato nel vivo delle corse, probabilmente come mai in passato. Mi sono ritrovato anche a lottare per la classifica, cosa che per me è una novità assoluta e alla quale, anche nelle tappe conclusive abruzzesi, non pensavo più di tanto».


A che cosa si deve questo salto di qualità?
Ho lavorato bene d’inverno, con tranquillità, senza grandi novità ma svolgendo tutti i lavori senza impedimenti. Che le cose stavano andando bene l’ho visto alla Tirreno-Adriatico dove con un parterre di altissimo livello, in salita rimanevo sempre nel gruppo dei migliori fino alle battute conclusive. Lì correvo senza ambizioni particolari se non quello di allenarmi bene, eppure un piazzamento è arrivato anche lì. Ed ha aperto la porta…
In Abruzzo dici che non guardavi la classifica, eppure eri lì e hai chiuso quinto. Significa che comincerai a farci un pensierino?
No, io resto il Fiorelli di prima. Quello che vuole mettere la sua firma su una prova secca, che sia una corsa in linea o una tappa. I piazzamenti vanno bene e fanno morale, ma io cerco la vittoria che mi manca da due anni a questa parte, anche per ripagare i sacrifici che non faccio solo io, ma la mia ragazza, la mia famiglia, il team. Sono pensieri che porto sempre con me…


Nel team sei tra i più “vecchi” pur avendo solo 30 anni. In mezzo a tanti giovani con gente che ha appena valicato la maggiore età. Ti guardano come la guida spirituale e questo ruolo come si sposa a quello di punta del team?
Io a dir la verità non mi sento un vecchio anche perché corro in bici da relativamente poco, nel senso che non ho fatto la trafila delle categorie giovanili, ho iniziato direttamente da secondo anno U23. Invece vedo che intorno a me ci sono ragazzi che in bici ci sono praticamente nati e che paradossalmente pur essendo più giovani vantano più anni d’esperienza in sella. Non sono un Visconti o un Pozzovivo che possono trasmettere tanta esperienza in più. Poi, rispetto a quando ho iniziato io, vedo che tante cose sono cambiate, dai metodi alla nutrizione. Posso dire che molti ragazzi sono anche più preparati di me. Io posso essere utile in gara, magari suggerendo qualche malizia, ma quel che conta è che ci sia armonia e collaborazione.


Ora ti aspetta il Giro d’Italia nel quale solitamente le wild card come la vostra animano le fasi iniziali della corsa. Sarà così anche quest’anno e sarà così anche per te?
E’ questione di interpretazione. Noi non andiamo in fuga solamente per farci vedere, ma per animare la corsa e smuovere le acque. Anche per noi i risultati sono importanti. Io ad esempio voglio andare al Giro con il sogno della vittoria, anche perché secondo me vincere una tappa lì è più semplice che in una gara secca, dove tutti hanno lo stesso obiettivo. Il Giro d’Italia ha equilibri che cambiano di volta in volta, a seconda degli obiettivi dei singoli corridori e delle squadre. Io ora sono in altura per tenere e se possibile migliorare la condizione perché alla corsa rosa voglio vivere belle emozioni.
Ti sei già fatto un’idea delle tappe a te più adatte?
Ho visto solo l’inizio, la parte albanese e la prima tappa sembrano ideale per me, ma so bene che a quella frazione guarderanno in tanti perché vestire la prima maglia rosa fa gola a tutti. Devo studiare bene il programma, cercando le tappe giuste anche per non fare troppa fatica nei giorni precedenti e preparare la giusta tattica. Sicuramente un aiuto lo potrà dare avere la classifica già delineata.


Perché ti piace tanto la prima tappa?
Perché è una frazione dove non credo che i velocisti puri riusciranno a essere protagonisti. Ci sono 5 chilometri di salita dove credo che gente come Pedersen e Van Aert farà la differenza, imporrà un alto ritmo. Io intanto voglio far vedere che quel ritmo posso sopportarlo, d’altronde è un po’ il mio punto di forza tenere gli strappi ed essere ancora veloce. In un gruppo ridotto posso giocare le mie carte. Io dico che può succedere di tutto…