Il capodanno di Lino Secchi è stato un continuo riflettere sulla candidatura federale. «Ho dedicato molto tempo a questo – ammette – e poco a brindare». Lo stavamo cercando per farci raccontare che cosa lo avesse spinto a gettarsi nella mischia, quando attraverso un messaggio due giorni fa ci ha comunicato l’intenzione di fare un passo indietro. Decisione che aveva appena condiviso tramite una lettera con i delegati, i presidenti provinciali e regionali e gli altri candidati.
«Analizzando la situazione che si sta delineando – vi si legge – sono giunto alla conclusione che solo una leadership fortemente legittimata potrà garantire i cambiamenti che auspico e che per questo motivo il mio impegno risulterebbe una contraddizione in termini se dovesse involontariamente alimentare qualsiasi situazione divisiva. Per coerenza con i miei principi sopra riportati, comunico che provvederò, i prossimi giorni, a ritirare ufficialmente la candidatura, a Presidente Nazionale della Federazione Ciclistica Italiana».
Il passo indietro del dirigente marchigiano è stato un gesto di grande coerenza. Sarebbe potuto rimanere in lizza e spostare poi i suoi voti per ottenere un qualsiasi vantaggio personale. Accade spesso nelle assemblee federali, invece Secchi ha guardato al bene del ciclismo e si è fatto indietro.
Buongiorno Lino, quando ha cominciato a pensare che non fosse più il caso di andare avanti?
Già da qualche giorno mi ero messo a valutare quale fossero la consistenza e il supporto che avrei avuto. Il sistema di votazione federale comporta che votino i delegati e non le società. L’ipotesi che avevamo proposto quando abbiamo lavorato alla riscrittura dello statuto prevedeva il voto diretto delle società, ma non è stata portata avanti. Perciò, vista la situazione attuale, ho pensato che arrivare quarto non sarebbe servito a niente. Non sono un principiante, quindi non me la sono sentita. Magari qualcuno può essere rimasto deluso perché pensava che arrivassi in fondo, però bisogna saper valutare le situazioni e decidere di conseguenza.
Nei giorni dei mondiali di Zurigo, Renato Di Rocco ci parlò della sua candidatura, definendola il miglior passaggio per fare le riforme del ciclismo.
La mia candidatura è nata sulla richiesta di alcuni colleghi, proprio con questo obiettivo e per un po’ l’ha condivisa anche Renato Di Rocco. La mission sarebbe stata quella di approvare lo statuto, rimettere a posto un po’ di aspetti organizzativi e poi passare la mano. Sono stato sindaco del mio paese, sono stato dirigente di grandi società: tutte esperienze da cui è nato il mio interesse per i regolamenti e quindi la riscrittura dello statuto.
Martinello ha detto che prima di sapere che si sarebbe candidato, la avrebbe voluta nella sua squadra.
Lo confermo. Quando ha letto che mi sono fermato, mi ha mandato dei messaggi, ma al momento preferisco aspettare. Mi sento più una figura super partes piuttosto di qualcuno che si schiera. Ciascuno dei tre candidati avrà da risolvere dei bei problemi. Lo stesso Dagnoni dovrebbe girare pagina, secondo me non va bene se continua su questa linea. Perciò in questo momento ho bisogno di riflettere, perché qualsiasi cosa farò dovrà essere utile al movimento, se il futuro presidente vorrà ascoltare le mie indicazioni.
In pratica sarebbe disposto a mettere la sua esperienza al servizio della Federazione?
Non voglio sminuire nessuno, però è chiaro che nel momento in cui si insedierà il nuovo Consiglio federale, ci si renderà conto che chi ha già avuto esperienze a livello di base, comitati provinciali, comitati regionali, ha una visione un po’ più completa. Mi fa pensare ai miei anni da sindaco.
Per quali aspetti?
Prima si andava avanti per gradini e i sindaci dopo un po’ passavano per le regioni e poi diventavano parlamentari. Adesso entrano subito in Parlamento e sembra che siano già all’altezza di tutto, ma spesso vengono fatte scelte che non hanno gli effetti sperati. Capita, in questi organismi. Quando andavo ai Consigli federali, riuscivo a inquadrare subito quale fosse il consigliere che aveva esperienza e chi invece si era affacciato per la prima volta e non aveva la preparazione necessaria. Che non si studia a scuola, ma si impara facendo esperienza.
La stessa domanda che abbiamo fatto agli altri candidati: ci fa una fotografia del ciclismo italiano?
Abbiamo visto agli europei e ai mondiali che abbiamo un buon livello con le donne e su pista. Il presidente contava le medaglie e il movimento femminile negli ultimi anni ha dato sempre una grossa spinta ai successi azzurri, come pure il paraciclismo. A mio avviso però, il ciclismo soffre sul fronte del reclutamento e del movimento giovanile, perché non c’è stato, come ho chiesto più di una volta, un progetto che parta dal centro.
Centro inteso come Federazione?
Non si possono lasciare le società da sole ad affrontare la questione del reclutamento. Soffriamo a mio avviso di una carenza di rapporti istituzionali. Il problema della sicurezza stradale deve essere affrontato con tavoli permanenti di discussione con la politica. Il rapporto con la politica lo dobbiamo avere. Siamo assenti anche dove i giovani vengono formati, cioè nella scuola. Non per insegnargli ad andare in bicicletta o diventare corridori, ma per far capire a questi ragazzi che domani diventeranno automobilisti quale sia il modo corretto di comportarsi sulla strada.
Perché le società hanno bisogno di questo supporto?
I nostri dirigenti sono dei grandi appassionati, dei lavoratori che stanno dietro a questi ragazzi. Non abbiamo dirigenti di aziende o banchieri, bensì gente spesso modesta che ha bisogno di essere aiutata e formata. E poi c’è un altro aspetto cui la Federazione si deve rivolgere, parallelo all’agonismo, prima che lo occupino gli altri.
Quale?
Il turismo in bicicletta ha numeri rilevanti e la Federazione deve essere presente. Non abbiamo neanche 100.000 tesserati, su circa 15 milioni di italiani che usano la bicicletta. Dove sono gli altri? Il logo della Federazione deve essere diffuso il più possibile, deve diventare una presenza familiare. Gli Amministratori locali devono essere amici del ciclismo, in modo che diventi più semplice anche ottenere un permesso, l’autorizzazione per una gara. Sarà più semplice avere lo spazio per iniziare una scuola di ciclismo. Come pure per gli impianti sportivi.
Impianti che però mancano…
Perché un ciclodromo non deve essere considerato alla pari di un altro impianto sportivo? Può essere intercomunale e polivalente, anche per un discorso economico. A Pesaro stanno partendo i lavori per un impianto rivolto al ciclismo e al pattinaggio. Ma le società in grado di fare da sole sono forse una su dieci e forse neanche quella.
Tornando all’agonismo, che cosa pensa della situazione degli under 23?
Se io fossi al posto del presidente, farei uno studio approfondito per presentarmi all’UCI. Non mi limiterei a dire che bisogna cambiare, ma proporrei un progetto tecnico-scientifico fatto bene. Non è detto che non si possa fare un calendario nazionale per far crescere gli atleti in modo da non escluderli rispetto ai fenomeni che vanno per la maggiore. Gli juniores vengono lanciati nel professionismo dopo il secondo anno. Siamo sicuri che fra quelli che non riescono a emergere a 18 anni, non ci sia qualcuno che potrebbe crescere facendo l’attività giusta? Con questa situazione invece, sono più quelli che abbandonano. La dinamica è evidente.
Quale dinamica?
Nelle gare di alto livello, prendiamo il Lunigiana, tanti finiscono fuori tempo massimo. Non basta l’allenamento per crescere di livello, serve un calendario. Quindi parlerei anche con le altre Federazioni per capire come muoversi rispetto a questa accelerazione. I devo team hanno budget e situazioni fuori misura e prendono i corridori particolarmente dotati a 16-17 anni. Gli altri potenzialmente li perdiamo, anche perché se le squadre chiudono, gli juniores non trovano posto fra gli under 23. Il mondo è cambiato, vent’anni fa nessuno avrebbe pensato che dalla Slovenia venissero fuori tanti campioni. Davanti a certi cambiamenti, la Federazione non può rimanere indietro.
Quando si è sparsa la voce che avrebbe ritirato la candidatura, che tipo di messaggi ha ricevuto?
Ho avuto tante attestazioni di solidarietà. Molti hanno condiviso quello che ho scritto sul documento, come pure avevo ricevuto diversi apprezzamenti per il mio programma, su quale ho lavorato per un mese, cercando di mettere ogni cosa, e che potrebbe diventare la traccia per fare un lavoro efficace in Federazione.