Ubi maior, minor cessat. Quando l’altro giorno Matxin ha annunciato la presenza di Ayuso al Giro d’Italia e poi ha aggiunto che potrebbe esserci anche Pogacar, il giovane spagnolo non ha fatto salti di gioia. Ovviamente ne avevano già parlato, ma sentirsi chiedere dalla stampa se per lui cambierebbe qualcosa, ha costretto Ayuso ad aprire gli occhi e fare l’inchino. Se ci sarà Pogacar, si correrà in modo completamente diverso, perché sarà lui il capitano.
Poche ore dopo, dal ritiro mallorquino della Red Bull-Bora è arrivata la conferma che anche Roglic correrà il Giro d’Italia, già conquistato nel 2023 (in apertura, immagine Red Bull-Bora). Lo sloveno, che è ironico e realista, ha dichiarato che farà i suoi programmi sulla base di quelli di Pogacar, andando dove non sarà Tadej. Era una battuta? Se c’è Pogacar, non si vince: ubi maior, minor cessat. Anche per questo nei giorni scorsi anche O’Connor ha spiegato il motivo per cui al Tour bisogna comunque andare. E l’apice del ciclismo, si partecipa pur consapevoli di essere sconfitti.
Pellizzari e il Giro
Il ciclismo non è una scienza esatta, lo ha spiegato bene Matej Mohoric, ma si sta lavorando perché lo diventi. Pogacar ha ringraziato perché nel 2024 gli è andato tutto liscio. Ricorda bene infatti la caduta della Liegi 2023 che gli costò la Doyenne e la preparazione per il Tour. E magari è consapevole che un Vingegaard al meglio gli avrebbe reso la vita più dura. Tuttavia il suo strapotere spingerà sempre di più gli avversari a concentrarsi sugli obiettivi raggiungibili.
Per questo motivo, la Red Bull-Bora-Hansgrohe del Giro vedrà accanto a Roglic gregari come Hindley, Martinez, Aleotti, Sobrero e Moscon. Manca Tratnik, che verosimilmente sarà il pilastro per la squadra del Tour. E manca anche Pellizzari, stella nascente del ciclismo italiano, che per ora è riserva e dovrà semmai guadagnarsi il posto a suon di risultati. Sarebbe un peccato non vederlo nuovamente al via, ma anche nel suo caso, la regola è ancora la stessa. Ubi maior, minor cessat. Piace la scelta di Piganzoli di insistere ancora un anno con la Polti-Kometa. Si metterà nuovamente alla prova nel Giro, prima di diventare un numero (pur importante) in squadre più grandi.
Chiude il CT Friuli
E’ notizia di poche settimane fa che il Cycling Team Friuli chiuderà la sua storia di successi fra gli under 23, diventando a tutti gli effetti il devo team della Bahrain Victorious. Roberto Bressan le ha provate tutte per difendere l’identità della sua squadra, ma alla fine è stata fatta la scelta più logica. Andrea Fusaz era da tempo uno snodo decisivo fra i preparatori del team WorldTour e dispiace semmai che Fabio Baronti, cresciuto alla sua scuola, non abbia trovato posto e sia passato alla Jayco-AlUla.
Proprio la squadra australiana nel frattempo ha assorbito la Hagens Berman Jayco di Axel Merckx, protagonista di una storia di talenti lanciati nel WorldTour. Mentre la Lotto-Kern-Haus è entrata nell’orbita della Ineos Grenadiers. Anche in questo caso, neanche a dirlo: ubi maior, minor cessat.
I team WorldTour sono gli unici a possedere le risorse per mandare avanti uno sport diventato costosissimo, con buona pace degli altri che per sopravvivere hanno la doppia opzione di restare piccolini finché ce la fanno o farsi assorbire. L’esempio della BePink-Bongioanni di Walter Zini è perfetto per illustrarlo. Il team manager milanese aveva adocchiato uno sponsor polacco che gli avrebbe permesso di fare il salto tra le professional, ma alla fine l’azienda ha preferito diventare il terzo nome della Canyon-Sram. Essere il terzo nome di una grande squadra è stato ritenuto più redditizio dell’essere il primo di un team più piccolo. Ubi maior, minor cessat, tanto per cambiare.
L’esempio di Piemonte e Friuli
In questo quadro, cosa dovrebbe fare il presidente della Federazione ciclistica italiana? Può a nostro avviso concentrarsi sulla base, puntando a riportare in alto i numeri dei tesseramenti che da troppi anni a questa parte vivono una picchiata apparentemente incontrollata. Va bene preoccuparsi per le società U23 che spariscono, ma varrebbe forse la pena lavorare prima su quelle di base che intercettano i talenti e gli danno una forma.
Vi siete mai chiesti come mai il Piemonte e il Friuli, regioni che pure non hanno grandissime squadre, sfornano o hanno sfornato atleti di primissima fascia? Ganna, Longo Borghini, Sobrero, Barale, Covi, Balsamo, Gasparrini, Mosca, De Marchi, Viezzi, Cimolai, Buratti, Olivo, Fabbro, Milan, Cecchini, Skerl. Sono bandiere nate negli anni da società giovanili che lavorano bene e portano ragazzi sani e motivati fin sulla porta delle categorie internazionali. Li prendono dalla strada, la pista, il cross e anche dalla mountain bike. Hanno tecnici competenti e capaci anche di essere animatori del movimento. Coinvolgono le famiglie come si è sempre fatto e come in realtà accade sempre meno di frequente.
Anche in quelle categorie ci sono genitori purtroppo sensibili alla corte di team più grandi. Ne è l’esempio quanto accaduto di recente nella squadra di Jacopo Mosca. Se non si lavora su numeri e non si fa capire che c’è un tempo per essere grandi e uno per crescere, la sorgente si esaurirà. E a quel punto saranno guai seri. E’ vietato, parlando di bambini, rassegnarsi al cinismo di “Ubi maior, minor cessat”. Dal futuro presidente federale, ci aspetteremmo la determinazione nel fare scelte impopolari, assieme al coraggio di lasciar andare qualche medaglia. Meglio investire sul futuro o continuare nella conta dei trofei?