In questi giorni le valigie di Dino Salvoldi sono in continuo rinnovamento: prima il Rwanda, poi la Francia per gli europei, poi i lavori di rifinitura a Montichiari e quindi il 16 la partenza per Santiago del Cile, per i mondiali su pista. Una rassegna delicata proprio perché postolimpica, scevra di obblighi legati alle qualificazioni per i Giochi di Los Angeles, ma nella quale il cittì azzurro ha deciso di fare esperimenti e far fare esperienza ai ragazzi più giovani, mettendo i risultati in secondo piano.


Un decano fra i più giovani
C’è da fare i conti anche con la lontananza e i costi, quindi sarà una spedizione abbastanza ridotta, non oltre 7 corridori chiamati a interpretare le prove di endurance, ma con che prospettive? «Sì saranno 7 atleti più Elia Viviani che ha questo desiderio sacrosanto di chiudere la sua carriera con questi mondiali in pista. Quindi avrò tre atleti, Viviani, Sierra e Stella, impegnati nelle gare di gruppo e in questi giorni dobbiamo definire la ripartizione per specialità, anche se è già deciso che nell’ultimo giorno di gare, Elia farà l’eliminazione, perché è la gara a cui tiene di più e Stella e Sierra saranno la coppia dell’americana. E’ chiaro che sono due ragazzi molto giovani, potranno correre senza pressione. Per quello che riguarda invece il quartetto e l’inseguimento individuale avremo un gruppo super giovane. Tolto Lamon, unico della vecchia guardia, avremo i giovani Favero, Giaimi, Grimod e uno tra Galli e Boscaro. Il raduno che abbiamo in questi giorni mi serve per definire questi dettagli».


Come si presentano i ragazzi all’appuntamento?
Al netto degli imprevisti, io sono veramente contento del periodo di allenamento che abbiamo fatto e della disponibilità dei ragazzi. Io sono uno molto esigente in allenamento e ho avuto buone risposte. Detto questo, non so che risultati aspettarsi non avendo visto le starting list, ma so che altre nazioni hanno fatto scelte più mirate all’evento. A me interessa fare una buona prestazione rispetto a noi stessi per quello che ci siamo allenati. Senza fare previsioni di piazzamenti, starei ben piantato con i piedi per terra e senza illusioni.


Quindi come metro di giudizio, soprattutto nel caso del quartetto, guarderai ai tempi del passato dei ragazzi stessi, di quando li hai avuti da junior e da under 23 per vedere se c’è questo processo di crescita?
Direi proprio di sì, considerando anche che il crono talvolta va correlato alle condizioni ambientali nelle quali ci si trova, perché influiscono molto sulla prestazione. Io comunque mi aspetto una crescita dei giovani rispetto a quando erano juniores, quello sì. Mi piacerebbe fare una buona prestazione di squadra e individuale affinché ognuno dei ragazzi intraveda delle opportunità per l’anno prossimo. Non posso dimenticare che quest’anno ho avuto i ragazzi solo a brevi periodi, con una preparazione a singhiozzo. Ma nell’ultimo periodo ce li ho tutti a disposizione. E’ mancata completamente la continuità che ti deriva da un anno di lavoro, da una programmazione annuale sia come preparazione che come calendario condiviso con le squadre. Per questo ho pensato che, essendo anno postolimpico è quello più utile per poter fare esperimenti, per provare nuove soluzioni.


Il quartetto, da come l’hai descritto, praticamente fonderà due elementi fra virgolette vecchi e due nuovi. Come si procede nel costruire un equipaggio completamente diverso? Nel cercare un amalgama non semplice e in tempi brevi?
Certi tempi cronometrici sono conseguenti alla crescita o all’abitudine di allenarsi a certi ritmi, necessitano di tempi di adattamento lunghi, più che quelli legati alla situazione tecnica, cioè ai cambi piuttosto che alla partenza o alle linee da seguire. E’ proprio una questione di preparazione, di abituarsi con il tempo a spingere rapporti più duri e più velocemente e ai giovani questo tempo va dato. Di fatto, da dicembre ad aprile e poi altri due mesi durante l’estate, fanno sei mesi dove i ragazzi sono venuti a girare pochissimo o mai. Si tratta di almeno 24 allenamenti in meno che ho fatto. Non metto le mani avanti, ma è un fattore che va considerato.
Stella e Sierra sono una coppia abbastanza consolidata nella madison, però sono molto giovani. Questa può essere un’esperienza fondamentale per la loro crescita, anche per quel discorso che abbiamo appena fatto dell’amalgama?
Sì, per far crescere i giovani serve anche l’evento di prestigio – conferma Salvoldi – Al di là del risultato che può portare, questo è un passaggio che va fatto, altrimenti succede che ti trovi ragazzi già maturi, ma che non hanno mai corso un campionato del mondo o una gara di un livello superiore, perché il risultato diventa sempre prioritario rispetto a tutto il resto. E allora si tende a portare solo i ragazzi che ti danno certezze di risultato. Questo è un momento “storico”, da sfruttare.


Il fatto che si gareggi in un luogo così lontano, in condizioni climatiche completamente diverse rispetto a quelle solite influirà molto sui risultati?
Secondo me no, nel senso che le squadre che andranno con i loro migliori elementi vanno a correre per fare risultato, ad esempio la Gran Bretagna farà prestazioni o cronometriche o individuali da campionato del mondo. Siamo quasi a livello del mare, con il clima che c’è in quel periodo che è quello primaverile nostro, influiranno le condizioni interne al velodromo, se farà caldo all’interno della pista. Ma chi vincerà le medaglie farà prestazioni da campionato del mondo, non sarà un mondiale sottotono. Ma attenzione: nessuno avrà così tanti come noi della generazione 2004-2006…