Jonathan Milan, l’uomo dai doppi impegni. La strada e la pista, poi il Tour de Pologne e la Clasica San Sebastian. Lo aspettavamo qui in Polonia, ma il campione olimpico del quartetto era nei Paesi Baschi ad aiutare Pello Bilbao. Mentre da ieri sera è già a Montichiari in pista.
Milan, maglia ciclamino all’ultimo Giro d’Italia, era l’oggetto del desiderio del cittì Daniele Bennati per i mondiali di Glasgow. Ma era anche l’oggetto del desiderio del cittì della pista, Marco Villa. Il corridore della Bahrain-Victorious si è così ritrovato tra due fuochi amici mica da ridere. Due passioni, due sogni, due squadre e due enormi possibilità e due enormi responsabilità. Ricostruiamo dunque il tutto con il talento friulano stesso.


Jonathan, prima di tutto: come stai?
Un po’ stanchino! A San Sebastian ho fatto un buon lavoro per la squadra e per Pello Bilbao. Chiaramente la classica basca è un po’ dura per me, ma ho cercato di prenderla come un allenamento, tra virgolette. Di andare più in là possibile.
San Sebastian, Polonia: eri annunciato da entrambe le parti. Come è andata?
In effetti avrei dovuto fare il Polonia, ma con le tempistiche che c’erano in vista degli impegni con la nazionale per i mondiali, non lo avrei finito. La squadra cercava qualcuno per completare la formazione di San Sebastian e, in accordo anche con i tecnici, ho chiesto di andare in Spagna.
Invece sul fronte della condizione come stai? Come hai lavorato?
Bene – risponde con un tono sicuro – ho lavorato tanto e bene. Ho fatto tanta pista, tanta forza e sono soddisfatto di quanto svolto. Adesso ci aspettano gli ultimi giorni per rifinire la gamba, fare le ultime prove…
Non che lo scorso anno sul quartetto siano state investite meno energie ed attenzioni, ma dalla mole del lavoro svolto in pista, dai ritiri di Villa, sembra che l’aria sia cambiata di nuovo. Un’altra determinazione. E’ così?
E’ così, le Olimpiadi sono più vicine. Il mondiale è sempre importante, ma un mondiale con l’Olimpiade a seguire lo è ancora di più. Vogliamo arrivarci bene per confrontarci con le altre nazionali, penso alla Nuova Zelanda o all’Australia… Anche loro si faranno trovare pronte. Siamo curiosi di vedere come hanno lavorato, a che livello sono, chi portano, che materiali useranno.


Ti vuole Villa, ti vuole Bennati…
Purtroppo, e ci tengo a dire che mi è dispiaciuto, ho dovuto scegliere. Quest’anno il programma iridato è complicato con le date. Non so chi lo abbia fatto, né che senso abbia un programma simile. Io subito dopo il Giro d’Italia ci pensavo al mondiale su strada, eccome… Avrei saltato anche l’individuale se fossi stato bene.
E invece cosa è successo?
Non sono stato male, ma ci ho messo un po’ a recuperare le fatiche del Giro. Ho avuto qualche problema intestinale la sera prima della tappa delle Tre Cime e ho faticato tantissimo fino a Roma. Non immaginate cosa abbia passato per concludere la frazione delle Tre Cime, quasi mi staccavo nel trasferimento su un falsopiano. Quindi sono uscito molto stanco. Sono stato fermo diversi giorni e quando sono ripartito sentivo che il mio corpo aveva ancora bisogno di riposo. A quel punto non era più fattibile preparare entrambi i mondiali, strada e pista.
Chiaro, però alla fine fa piacere essere desiderati da una parte e dall’altra. E’ anche motivo di orgoglio…
Sì, fa piacere, ma questa scelta come ho detto a me è dispiaciuta. Mai avrei pensato di arrivare a chiedermi: «Ah, che mondiale faccio quest’anno?». Se le due prove fossero state un pelo più distanziate le avrei fatte entrambe. La cosa sarebbe stata più fattibile. Ci sarebbe stato più recupero, ma così no (sabato sera finale dell’inseguimento a squadre, domenica la strada, domenica sera inseguimento individuale, ndr). Avrei rischiato di farle male tutte e due e a me non piace.


Hai detto che sei stato male dopo il Giro, che sentivi il bisogno di recuperare: questo ha inciso un bel po’ nella scelta tra strada e pista il post Giro?
Sì, ha inciso. Se verso le Tre Cime non ci fossero stati i miei compagni a scortarmi e ad incitarmi per tutto il tempo, non ce l’avrei fatta. Poi sapete com’è: finché sei in corsa in qualche modo ti sostieni, ma appena è finito il Giro, è calata l’adrenalina e mi sono proprio sentito vuoto. Quindi ha inciso perché non me la sentivo più di provare a farle entrambe. Anzi, per un momento ho pensato che non sarei stato pronto neanche per la pista.
E i tecnici cosa ti hanno detto?
Siamo stati concordi. Loro mi hanno detto di decidere e dopo aver parlato tutti insieme ho scelto la pista.
Come mai la pista?
Perché siamo alla vigilia delle Olimpiadi. Vorrei fare il quartetto e l’inseguimento individuale e la scelta è stata fatta soprattutto in questa ottica. Poi c’è un’altra cosa (sappiamo che a Jonathan non piace improvvisare, ndr). All’inizio dell’anno sapevo che avrei dovuto fare i mondiali su pista, ma quelli su strada no. Mai mi sarei immaginato che Bennati mi chiedesse di andare con lui. La corsa su strada è di 270 chilometri, devi arrivarci bene. Non si può improvvisare.