Parliamo spesso di un dilettantismo che volenti o nolenti è sempre più professionistico nel vero senso della parola. Le continental hanno alzato l’asticella, è innegabile. Ma c’è anche chi, ed è la maggior parte delle squadre, continua a vivere la categoria elite-U23 essendo del tutto… elite-U23. Non suona bene, ma il concetto è reso. Pensiamo, per esempio, al Sissio Team.
La società di Pastrengo, nel veronese, è stata un po’ la “cenerentola” dell’ultimo Giro d’Italia U23. Era il team più piccolo per budget e risonanza. Come Davide in mezzo a tanti Golia. E in questi contesti, andare in corsa è doppiamente difficile, soprattutto per i ragazzi. Marco Toffali, team manager, ma potremmo dire factotum del Sissio, ci ha aperto le porte.
Marco, Sissio Team, squadra piccola che lotta tra società ben più attrezzate: come si fa?
Con passione e tanto lavoro. Si fa la formichina. Si risparmia di qua, di là, sopra e sotto e alla fine con l’aiuto degli sponsor si riesce a far quadrare i conti e ad andare avanti.
Rispetto ai maggiori team della categoria avete un budget della metà?
Della metà? Molto meno. Le squadre più note arrivano ad un milione di euro o giù di lì, io faccio la squadra con 100.000 euro. Ma proprio perché faccio tutto io. Certo, ai ragazzi non do uno stipendio, ma un piccolo rimborso a fine mese. Non ho un budget apposta per premi e stipendi come alcune squadre.
Quindi l’attività prima di tutto?
Esatto, prima pensiamo a fare le gare e a farle al meglio. Cerco ragazzi che hanno una grande volontà, che hanno fame, cui i tecnici che hanno avuto prima gli hanno lasciato dei valori. E poi magari grazie al mio aiuto emerge un Martin Nessler della situazione. Lui era stato scartato dal Cycling Team Friuli, è venuto con me e la prossima stagione andrà alla #inEmiliaRomagna (divenuta continental, ndr), che farà un calendario pressoché professional. Lo so da fonti certe. Correranno anche all’estero.
Come recluti i ragazzi?
Faccio un passo indietro. Il problema del nostro movimento, a mio avviso, sono le continental. Ed è un problema che nasce dall’Uci e dalla Fci che gli va dietro. Uno junior vuole andare in una continental, ma per andarci deve avere almeno 10 punti. Ma tolti quei 5-6 ragazzi che li hanno, trovare uno junior bravo che ha qualche punto per portarlo in una squadra under 23 come la nostra è un terno al lotto.
Ne hai preso qualcuno?
Per il 2023 ne ho presi tre, ma che fatica… Senza contare che fino a giugno-luglio sono impegnati con la scuola e gli esami. Quindi li hai a singhiozzo. L’unica cosa che puoi fare è introdurli nei metodi di lavoro che richiede la categoria. E questo è un problema che oggi incide moltissimo sul passaggio dei ragazzi tra gli under 23, dove si vuole tutto e di corsa. Quest’anno di juniores ne restano a casa tanti. Siamo una cinquantina di squadre, in media ognuna ne prende un paio, ecco che almeno 150 ragazzi smettono. E molti di questi, che magari sono “discretini” e hanno un minimo di punti, neanche possono fare il terzo anno da juniores.
E allora la soluzione quale potrebbe essere?
Togliere le continental da questa categoria. Le continental sono il primo livello del professionismo. Se la fai è perché hai un minimo di budget e dovresti fare come Stefano Giuliani (della Giotti Victoria Savini Due, ndr) e fare gare da pro’ lasciando spazio a chi è veramente un dilettante. Così tra l’altro lusingano i ragazzi, che attratti dall’essere pro’ e di fare certe corse vogliono andare con loro. Salvo poi prendere legnate. Per me hanno ammazzato la categoria U23. Prendiamo un Riccardo Lucca. Uno bravo come lui ha rischiato di smettere. Passa quest’anno a 25 anni (alla Bardiani Csf Faizanè, ndr), ma con un aiuto enorme da parte del suo procuratore, Fondriest, e altre conoscenze. Si dovrebbe tornare al sistema dei dilettanti di prima e seconda fascia. In questo modo tutti erano presi in considerazione. Invece per 4-5 fenomeni che a 22 anni hanno vinto i grandi Giri è cambiato tutto. Le squadre dei pro’ vogliono gli juniores. Io invece introdurrei due anni obbligatori di under 23.
Torniamo alla tua Sissio. Quest’anno siete andati al Giro: è stato un bel traguardo?
Certo. E devo ringraziare molto Marco Selleri che ha creduto in noi e ci ha dato questa opportunità. Erano due anni che stavamo crescendo. La soddisfazione è stata portare alla fine cinque ragazzi su cinque. Un grazie poi va agli sponsor. Sapendo di questa grande vetrina, raccogliendo 500 euro di qua, 500 euro di là abbiamo messo insieme un budget extra per affrontare questa avventura. Sono amanti di questo sport come me.
Quanti mezzi avete?
Quattro. Un furgone a passo lungo diviso in due settori: davanti c’è la zona dei massaggiatori, con la lavatrice, un piccolo lettino, il frigorifero… e dietro quella dei meccanici, la parte più grande, per le bici, i materiali, gli attrezzi. Poi un secondo furgone da sei posti e due ammiraglie.
Quante corse siete riusciti a fare quest’anno?
Settanta, il record. I ragazzi avevano voglia di correre e ci siamo riusciti. Di solito finivamo con 50-55 gare.
Quanti ragazzi ha in rosa il Sissio Team?
Undici, ma il prossimo anno saranno dieci. I costi aumentano, ma io quelli che ho voglio seguirli al meglio, dargli ciò che serve: una buona bici, delle ruote per le gare, tutto il vestiario…
Chi li segue, hanno un preparatore?
No, faccio tutto io, dalla palestra alle uscite in bici. Come detto, è così che posso portare avanti la squadra. Nel tempo ho messo su una “casina”: 130 metri quadrati con 15 posti letto. Per ottenere qualcosa da loro gli sto “col fiato sul collo”, nel senso che li chiamo, li seguo negli allenamenti, ci parlo… perché solo così, con il lavoro e il controllo diretto, rendono. Altrimenti se deleghi raccogli la metà.