Uno dei segnali più evidenti delle attuali difficoltà del ciclismo giovanile italiano è dato dal fatto che anche un 6° posto, a livello di Nations Cup, desta notizia. A maggior ragione se arriva da una corsa a tappe, nella fattispecie il Watersley Junior Challenge in Olanda, dominato dal Willebrord Wil Vooruit con gli olandesi Van Der Meulen e Huising. Merito di Diego Bracalente, giovanissimo marchigiano comparso solo di recente nei principali ordini di arrivo. Un risultato che ha colto di sorpresa un po’ tutti, a cominciare dal diretto interessato.
«Non me lo aspettavo – racconta – soprattutto dopo che il mercoledì siamo andati a visionare il percorso della tappa più dura. Ho detto “Mamma mia!”, pensando a quelle strade strette e strappi brevi e ripidi. Il primo giorno era tappa per velocisti, nel secondo la prima semitappa era decisiva, 70 chilometri con 1.200 metri di dislivello. Ho cercato di stare davanti centrando la fuga. Poi ho amministrato».
Che livello hai visto?
Tutt’altra cosa che in Italia… E’ un altro sport: lì si parte a tutta e “chi più ne ha più ne metta”… Alla fine vince chi regge di più. In Italia non si corre così.
Chi è Diego Bracalente?
Un ragazzino che si è innamorato della bici vedendo passare un giorno, davanti casa, una corsa ciclistica, a Montagnola vicino Porto Sant’Elpidio. Ero piccolo, non ricordo neanche se fosse agonistica o amatoriale. Ricordo solo che dissi subito a mio padre che volevo provarci anch’io, che volevo una bici per correre con quelli lì… Ho iniziato a 6 anni, da G1.
I tuoi sono appassionati?
No, con il lavoro non hanno tempo. Mio padre è agricoltore, abbiamo un punto vendita gestito da mia madre. Io quando non studio o mi alleno do loro una mano, in casa se mia madre me lo chiede, altrimenti nei campi. Diciamo che si stanno appassionando adesso, vedendomi.
Vedendo i tuoi risultati, sembri appartenere a una razza in via d’estinzione, quella dello scalatore puro…
Effettivamente le salite mi piacciono, soprattutto quelle lunghe, impegnative. Ciò non significa che non mi difenda anche sul passo, anzi le cronometro mi piacciono molto perché è come se ci fosse sempre un limite da superare.
Una passione per le salite derivata anche dal tuo territorio di appartenenza?
Parzialmente. Da me ci sono sicuramente molti saliscendi, ma le salite lunghe sono poche, in compenso i percorsi sono molto diversi fra loro e questo per allenarsi è l’ideale. Ci sono comunque salite di 7-8 chilometri che sono quasi il mio pane quotidiano.
Ti aspettavi la convocazione per la trasferta in Olanda?
Diciamo che era un obiettivo. Con gli altri ragazzi mi sono trovato molto bene, era un gruppo affiatato perché lavorano molto su pista. Io ero un po’ una “new entry”, ma non me l’hanno fatto pesare. Da parte della Federazione devo dire che non hanno fatto mancare davvero nulla.
Hai una predisposizione per le corse a tappe?
Forse è presto per dirlo, certamente mi piacerebbe diventare uno specialista, ma solo il tempo potrà dare una risposta.
Con l’azzurro hai rotto il ghiaccio. E se arrivasse un’altra convocazione, destinazione Australia?
Sarei felicissimo, ma il percorso mondiale non è forse ideale per le mie caratteristiche. Nel caso comunque mi metterei a disposizione di chi sarà deputato a fare il capitano.
Se ti arrivasse una proposta dall’estero, partiresti?
Non il prossimo anno, prima c’è da finire la scuola, devo fare l’esame all’Istituto Tecnico Agrario di Macerata. Qualsiasi cambio di squadra lo prenderò in considerazione solo dopo.
Il parere del cittì
Fin qui le parole del giovanissimo marchigiano, ma non potevamo in proposito non sentire il parere di chi l’ha “pilotato” in Olanda, il cittì Dino Salvoldi.
«Lo tenevo d’occhio da inizio stagione – dice il tecnico degli juniores – ma finché ha avuto la scuola non si è praticamente visto, poi da giugno ha avuto un crescendo imperioso, risultando protagonista in tutte le classiche. La cosa che apprezzo è la sua grande combattività, il fatto che non ha paura di attaccare mentre generalmente i ragazzi italiani hanno un atteggiamento troppo attendista. Il percorso non era proprio ideale per lui, mi aspettavo soprattutto una tappa finale più dura».
Questo accresce quindi il valore del suo risultato…
Sì, ma teniamo presente che parliamo sempre di un 6° posto. E’ uno scalatore vecchio stampo, che credo avrà maggiori possibilità per emergere nella seconda parte di stagione, su tracciati più adatti.
In generale queste trasferte estere che cosa ti hanno detto?
Che la differenza con i pari età è notevole e impietosa. Ai mondiali potremo anche ottenere qualcosa, ma non sarebbe uno specchio reale della situazione. C’è un gap da colmare e devo dire che sto trovando nelle società molta collaborazione per ridare slancio al settore.
La liberalizzazione dei rapporti servirà a ridurre questo divario?
La limitazione è uno dei problemi, non “il” problema. Io avrei preferito che venisse alzato il valore del rapporto massimo mantenendo un limite. Se però la decisione internazionale è quella, dobbiamo solo adeguarci, almeno non ci saranno più differenze.