Juniores o under 23? Per Ballan è il momento di scegliere

12.10.2024
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Inutile nasconderselo: i mondiali di Zurigo hanno dimostrato una volta di più come ormai il ciclismo guardi molto più alla categoria juniores che a quella Under 23. L’Uci vuole correre ai ripari, ha detto che dal prossimo anno chi è nelle WorldTour non potrà più fare le gare titolate di categoria, si pensa anche a una riduzione dell’età da 23 a 21 anni, ma questo è come spalare acqua con un colapasta. Le gare juniores hanno avuto molto più risalto di quelle della categoria superiore, questo è stato un dato di fatto.

Tutto ciò si ripercuote a livello generale e infatti nell’ambiente sono giorni di grandi discussioni. Chi vuole lanciarsi nel mondo degli under è visto con occhio critico, ma dall’altra parte chi punta sui più giovani si trova a fare i conti (è davvero il caso di dirlo) con grandi problemi economici. Lo sa bene Alessandro Ballan, ex iridato oggi commentatore Tv, ma anche responsabile del team juniores UC Giorgione.

Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23
Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23

«La gestione di un team – spiega – sta raggiungendo costi esagerati. Questo avviene proprio perché team, procuratori, tecnici, tutti guardano a questa categoria quindi devi avere materiale all’altezza. Una volta si partiva da zero, si doveva imparare, si faceva attività per crescere. Qui oggi vogliono tutti corridori già svezzati, campioni in erba».

Quando parli di costi esagerati a che cosa ti riferisci in particolare?

Non puoi accontentarti, quindi devi avere bici all’avanguardia, accessori all’altezza, garantire a chi corre per te un livello organizzativo quasi da squadra pro’. E questo ha un costo. Io dico sempre grazie a chi investe nel ciclismo, a quelle aziende che ci sostengono ma non possono fornire il materiale gratis… Se mi fermo a pensare mi accorgo che le difficoltà sono grandi anche perché chi corre pretende e mi riferisco ai ragazzi ma anche alle famiglie. Io ho fatto i calcoli: l’attività di un ragazzo costa dai 12 ai 15 mila euro e noi ne abbiamo poco meno di una decina, i conti sono presto fatti.

I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
In che consistono i costi pro capite?

Una bici ultimo modello costa almeno 5.500 euro, poi 1.000 di abbigliamento, 600 di accessori, e mettiamoci anche trasferte, gasolio, usura del materiale… I genitori aiutano, ma certamente non per cifre del genere, considerando anche che hanno paura. Noi siamo sul filo del rasoio.

Gli juniores sono ormai i veri dilettanti, la porta di accesso al ciclismo che conta…

Già, ma non si possono prendere come riferimento solo Evenepoel, Del Toro o pochissimi altri. Io dico sempre che nel ciclismo d’oggi non sarei mai passato pro’, persi i primi due anni da U23 e non mi avrebbe seguito più nessuno. Ma come me ce ne sono tanti, non tutti maturano così presto, anzi sono eccezioni. Tanti ragazzi sviluppano dopo i 17-18 anni, ma così li perdiamo tutti. Non tutti sono fenomeni, ma i procuratori vanno dietro solo a quelli, guardano troppo a questa categoria e non più a quella successiva che tecnicamente avrebbe ancora un senso.

Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
E’ anche un problema di calendario?

Se ne parla tanto, ma il problema non è ridurre il numero di gare, quanto aumentare il numero di società. 25 anni fa, se eri un ragazzino che voleva fare ciclismo trovavi posto in una società, dappertutto. Oggi è impensabile, ci sono tanti allievi che non trovano spazio e mollano e magari tra loro ci sono potenziali campioni inespressi. Ormai per andare avanti devi portare sempre risultati, ma così i ragazzini li spremi molto prima del dovuto. Il bacino è ampio, per questo dico che bisogna apprezzare e spingere a creare più società per juniores, partire da qui e non dalle categorie superiori. Ivan Basso ad esempio lo ha capito.

E’ un serpente che si morde la coda: l’attività U23 servirebbe, ma servono più società nella categoria inferiore…

Dobbiamo guardare la realtà e raggiungere un compromesso. Se vuoi fare un team devi avere un progetto solido, a medio-lungo termine e per primissima cosa andare a caccia di partner. Trovarti un’azienda ciclistica e di abbigliamento – per fortuna in Italia ce ne sono tantissime e sono le migliori – che ti supportino economicamente. Bisogna sfruttare anche qualche agevolazione che finalmente a livello governativo arriva, ad esempio la proroga del credito d’imposta per investimenti pubblicitari per le società sportive, portata da agosto al 15 novembre. Così le aziende possono recuperare il 50 per cento delle spese.

Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Il tuo discorso però vale anche per la categoria superiore…

Certo, c’è bisogno anche lì, ma devi innescare un effetto a catena. Partire dai più piccoli e spingere perché l’onda arrivi anche a livello superiore. La storia della Zalf che chiude dopo una vita è l’emblema del momento che stiamo vivendo. Io sono convinto che un’azienda che investe nel ciclismo ne verrà ripagata: la Mediolanum è sponsor del Giro d’Italia da vent’anni, avevano preventivato 7 anni di partenariato e sono ancora lì. Il ciclismo è appetibile, ma dobbiamo venderlo meglio.

Ti riferisci anche alle gare?

Sì. Una volta prove come il Trofeo Laigueglia o la Coppa Agostoni avevano un’attenzione enorme, ora io che sono addetto ai lavori spesso vengo a sapere di gare e vincitori il giorno dopo, a cose fatte. E questo è folle nell’era dei social, del “tutto e subito”. Abbiamo avuto sulle strade italiane la rivincita del mondiale fra Pogacar ed Evenepoel, perché se n’è parlato così poco?