Juniores azzurri a cronometro, per Salvoldi è un problema

13.05.2024
6 min
Salva

Due impegni di Nations Cup ravvicinati nel tempo, due corse a tappe molto diverse fra loro. Prima una delle classiche del settore, la Course de la Paix su cinque tappe compresa una cronometro i cui esiti sono stati focali per lo stato di salute del movimento. Poi il GP F.W.R. Baron in Italia, due sole frazioni di cui una, la prima, che era una cronosquadre. Dino Salvoldi ha accolto l’esito senza nascondersi, anche perché la partecipazione a livello qualitativo è stata diversa, con la prima che metteva davvero di fronte il meglio della categoria.

La gara in Repubblica Ceca è è stata vinta dal campione del mondo della categoria e il distacco che Albert Withen Philipsen ha imposto agli avversari non deve trarre in inganno perché il danese ha davvero dominato la gara, imponendo la sua legge. Per trovare il primo italiano bisogna scendere al 15° posto con Enea Sambinello.

Il podio finale con Philipsen primo davanti all’olandese Remijn a 25″ e al ceko Sumpik a 26″ (foto organizzatori)
Il podio finale con Philipsen primo davanti all’olandese Remijn a 25″ e al ceko Sumpik a 26″ (foto organizzatori)

«Ci mancava quello che consideravamo la punta per questa corsa, Lorenzo Finn – afferma Salvoldi – ma avevamo programmato l’appuntamento consapevoli di avere comunque una squadra forte e in grado di dire la sua sia per la classifica che per le singole tappe. L’andamento finale ci ha dato risposte non al pari delle aspettative e fatto uscire ridimensionati. Qualche imprevisto c’è stato, ma non è stato condizionante, il nostro livello era quello visto in gara».

Quello che ha dato da pensare è stato soprattutto l’esito della cronometro, di 8,8 chilometri con il miglior azzurro, Andrea Donati, solo 23° a 42” da Philipsen…

Dobbiamo guardare dentro i risultati, prendere atto dei numeri. Io l’ho fatto e ho voluto parlarne con i direttori sportivi dei ragazzi chiamati in nazionale per capire, perché su un percorso breve e non velocissimo la differenza è stata enorme. Un comportamento generale che impone domande, perché la cronometro è proprio legata a numeri, non a situazioni tattiche che impongono letture diverse.

Per gli azzurri una trasferta senza grandi squilli, un segnale d’allarme per Salvoldi
Per gli azzurri una trasferta senza grandi squilli, un segnale d’allarme per Salvoldi
Che impressione ne avete tratto?

Non posso negare che in seno alla squadra c’è stato un forte contraccolpo. Erano tutti molto demoralizzati, io però vedo anche che solo due settimane prima, all’Eroica Juniores, anche questa di Nations Cup, i responsi erano ben diversi, due azzurri nella Top 10 e la squadra per buona parte era la stessa, non è possibile che siano diventati brocchi d’un colpo. E’ anche vero però che i risultati vanno analizzati perché ormai la categoria è l’anticamera del professionismo e se questi ragazzi hanno ambizioni di passare professionisti, devono anche dare gli input necessari perché dall’alto possano notarli e prenderli. Noi dobbiamo capire che cosa non è andato e prendere le adeguate contromisure.

La debacle a cronometro è frutto solo della prestazione fisica o c’è anche una differenza di materiali?

Su questo non ho dubbi: quando sei in nazionale le bici sono di primissimo livello, tutte specifiche. Dobbiamo guardare ad altro. Non è un caso ad esempio se nei primi 11 della prova contro il tempo ci fossero 3 danesi e 3 norvegesi. Paesi dove non ci sono grandi montagne ma c’è grande attenzione verso il ciclismo e la preparazione dei più giovani, che quindi acquisiscono caratteristiche specifiche per le prove in piano. Io sono convinto che bisogna guardare l’insieme, anche gli aspetti socioculturali, ambientali, economici. Per fare un esempio, se l’Austria è una potenza nello sci e non negli sport acquatici ci sono ragioni che vanno al di là del singolo caso. Così è nel ciclismo.

Ciò come influisce nello specifico?

In quei Paesi scandinavi, come detto, non ci sono salite e il bel tempo latita – risponde Salvoldi – questo si traduce in una predisposizione per quella disciplina, con allenamenti spesso sotto l’acqua e una programmazione legata a quello sforzo. C’è un sistema di allenamento diverso: noi facciamo ripetute in salita a buone potenze, ma in pianura l’allenamento comporta un impegno ben differente. Bisogna raggiungere potenze diverse. Siamo sempre in grado di farlo? E’ su questo che dobbiamo ragionare, noi nello specifico abbiamo fra i pro’ un fuoriclasse, qualche buon specialista, ma poco altro rispetto alla forza generale e alla tradizione del nostro movimento.

Secondo te in Italia sottovalutiamo il problema?

Diciamo che è tempo di prenderlo di petto, il che significa lavorare sulla preparazione dei ragazzi. Al di là delle caratteristiche individuali, dobbiamo renderci conto che questo esercizio è fondamentale per un professionista, le prestazioni contro il tempo sono uno degli elementi che i dirigenti considerano nel mettere sotto contratto questo o quell’atleta, quindi questo esercizio lo devi saper fare. Se a cronometro perdi tanto, perdi la gara, se gareggi in una corsa a tappe e quindi devi mettere da parte molte delle tue ambizioni di carriera. Il modello di riferimento è utile, ma il suo traino non basta.

L’iridato Philipsen ha mostrato enormi progressi nella sua condotta in gruppo, ma resta atipico
L’iridato Philipsen ha mostrato enormi progressi nella sua condotta in gruppo, ma resta atipico
La prestazione di Philipsen ti ha sorpreso, relativamente alle sue difficoltà, espresse da lui stesso, nel correre su strada, soprattutto in gruppo?

No, perché so che siamo di fronte a un fenomeno. Io guardo la crono dello scorso anno alla Corsa della Pace e vedo che il danese ha migliorato di mezzo minuto il tempo del vincitore del 2023 che non era un signor nessuno, ma Nordhagen. Per me è già cresciuto a dismisura anche come condotta di gara, quando si mette a tirare fa la differenza.

C’è stato qualcosa che salvi della trasferta?

Nella penultima tappa almeno Bessega ha messo il naso davanti – ricorda Salvoldi – andando in fuga ed era una frazione difficile, 133 chilometri con 2.700 metri di dislivello. Solo che a un certo punto Philipsen ha deciso che bisognava andarlo a prendere, si sono trovati davanti in 10 e poi in discesa il gruppo si è ricomposto. Alla fine sono arrivati in 46 tutti insieme, su una tappa simile…

La volata della terza tappa, vinta dal danese Louw Larsen. Bessega aveva provato il colpo
La volata della terza tappa, vinta dal danese Louw Larsen. Bessega aveva provato il colpo
E ora, Salvoldi?

Ora dobbiamo reagire come si deve sempre fare quando i risultati non vengono. Già i responsi della due giorni italiana sono stati più positivi. Noi continueremo a lavorare, saremo alla prova francese di Morbihan, salteremo quella svizzera e chiuderemo la nostra Nations Cup in Germania. Io lavorerò sempre con un gruppo di uomini sul quale abbiamo iniziato a puntare da inizio stagione continuando però a ruotarli, d’altronde noi dobbiamo presentare i nostri elenchi di convocati con molto anticipo, può quindi capitare che chi si mette in evidenza nel calendario italiano non trovi spazio ora. Ma per le gare titolate farò un ragionamento più collettivo.