Nel suo racconto della vittoria a Capodarco, Filippo D’Aiuto non aveva mancato di far notare quanto sull’evoluzione della corsa avesse influito l’attacco di Roman Ermakov. Che il russo del CTF Victorious fosse in buona forma era chiaro e lo si è evinto nel weekend successivo, quando ha realizzato uno splendido uno-due a Kranj, conquistando soprattutto la classica della domenica, una delle prove più ambite nel vecchio mondo slavo. Un successo, con Baseggio e Balmer vanamente prodigati al suo inseguimento, che rilancia le ambizioni del giovane russo.
Al suo secondo anno in Friuli, Ermakov guarda già al futuro pur avendo una ventina d’anni, ma la scuola di ciclismo in casa CTF si sta rivelando fondamentale per la sua crescita e infatti è perfettamente conscio di aver fatto la scelta giusta.
«Mi piace l’atmosfera nella nostra squadra, l’approccio verso ogni corsa. Questi due anni stanno andando bene e spero che continuino sulla stessa lunghezza d’onda, magari con qualche vittoria in più…».
Com’è la vita per un ragazzo russo in Friuli, che cosa ti piace di più e di meno?
Qui la nazionalità non è un fattore – afferma con un pizzico di polemica legata alle sue origini – nessuno nella squadra ti guarda per dove vieni, ma per quello che sei. A tutti importa cosa c’è dentro di te, non della tua nazionalità e per me è importante. Quindi direi che la nazionalità non è sicuramente un fattore che influisce. Questo è ciò che mi piace di più, mi sono ambientato, anche se parlo molto poco italiano.
A Kranj hai ottenuto le prime vittorie ma già ti eri messo in evidenza nella stagione, per esempio a Capodarco: eri preoccupato per non riuscire a vincere?
No, non proprio. Ero abbastanza fiducioso che sarebbero arrivate le mie vittorie, solo che doveva venire il tempo. Ma non ho mai perso fiducia nelle mie qualità e nella mia forza, né la squadra mi ha fatto pesare qualcosa, anche nello staff erano convinti che il momento era maturo. E’ stata solo una questione di tempo e di pazienza.
Di te avevamo già parlato ai tempi del Cannibal Team, come ti eri trovato in quella squadra junior con tante nazionalità?
Penso che il team Cannibal sia probabilmente il posto migliore in cui far crescere gli juniores perché il loro approccio è qualcosa di un altro pianeta. Il modo in cui il direttivo e i ragazzi principali dello staff gestiscono il team è di un altro livello rispetto agli altri, qualcosa che si avvicina molto ai professionisti e ti permette di crescere avendo già un assaggio di quel che sarà. Quindi il loro approccio secondo me è il migliore possibile che si possa ottenere. Inoltre è ancora meglio avere così tante nazionalità nel team, proprio per entrare nel pieno di questo mondo così variegato. A quel tempo, mi piaceva molto.
Rispetto alle corse che facevi da junior, quali differenze hai trovato e quanto è cresciuto il livello?
Beh, di sicuro è cresciuto, ma non saprei definire nello specifico cosa è cambiato esattamente. Le gare sono ancora gare, solo che stiamo facendo più chilometri ora, disputiamo gare a tappe più lunghe, ora abbiamo un sacco di salite e tutto il resto. Da juniores non avevamo questo, quindi probabilmente questa è la differenza maggiore.
Che tipo di corridore sei?
Probabilmente direi che sono più versatile e questo è cambiato rispetto al passato. Riesco ad affrontare alcune salite piuttosto bene. Riesco a spingere molto in pianura e soprattutto mi piace essere in fuga.
Ora quali sono i tuoi obiettivi?
Faccio ogni gara nel miglior modo possibile, aiutando la squadra a fare qualcosa d’importante, se sarò io a finalizzare meglio ancora, ma questo si decide volta per volta. Siamo davvero molto vicini alla fine di questa stagione e voglio sfruttare ogni occasione.
Che cosa significherebbe per te entrare nel Bahrain Victorious?
Tutti hanno questo sogno di unirsi al mondo dei professionisti. Per me è il riferimento perché siamo la loro squadra satellite. Penso che sia una speranza per tutti. Io spero di unirmi ai grandi prima possibile, perché sono curioso di vedere dove finiremo e dove mi porterà questa strada…