Villemur sur Tarn, Francia. Oggi si corre. E lo si capisce subito. Rispetto a ieri in casa si respira un filo in più di tensione, specialmente in coloro che devono gareggiare appunto. I ragazzi del CPS Professional Team fremono.
La casa pulsa, ma è meno rumorosa. C’è concentrazione ed è normale. Anzi, è giusto. In fin dei conti è la prima corsa dell’anno e per di più, essendo in Francia, si gareggia contro avversari che non si conoscono: due incognite mica da ridere.
La tensione sale
Però i ragazzi non perdono il buonumore. Neanche quando aprono la porta e scoprono che di fuori c’è un freddo cane. I quattro atleti, Joan Rolando, Gabriele De Fabritiis, Simone Di Zio e Tommaso Bambagioni che devono correre domani infatti devono andare alla scoperta del percorso. E si sa che pedalare così non è il massimo della vita. Sul vetro del furgone c’è un dito di ghiaccio.
Restiamo in casa. Noi lavoriamo, gli altri sono piuttosto silenziosi, ammazzano il tempo giocando a scacchi sullo smartphone, gironzolando tra una stanza e l’altra… Si aspetta il pranzo.
Compagni totali
In questa attesa dopo un’oretta abbondante rientrano i quattro in avanscoperta. Tremano e si fiondano nel camino. Ci mettono mani e piedi. «Ad un certo punto – dice Rolando – sembrava fosse calata la nebbia. Siamo scesi in un punto più umido. Le lenti degli occhiali si sono appannate e quando col dito sono andato per pulirle è venuta via una crosta di ghiaccio». Dopo questa, chi deve correre è ufficialmente nel pallone!
Tutti collaborano. Chi fa la pasta, chi lava i piatti. Mangia prima chi corre, poi agli altri. E questa collaborazione si fa più forte una volta arrivati al ritrovo. Con i quattro che supportano gli altri sei: gli montano i numeri sulle bici e gli fanno persino i massaggi.
Senza contare il tifo in gara. L’hanno vissuta in prima persona. «Bravi, bravi. Sono davanti. Compatti, da vera squadra», esclama De Fabritiis.
Figurone CPS
La gara è come da noi. Il ritrovo, la riunione dei diesse richiamata con un urlo dalla giudice. E’ il bello del ciclismo giovanile e genuino. Il CPS Professional Team si piazza proprio in prossimità della riunione dei diesse. Tutti devono passare di lì e tutti notano le bici uguali. «Colnagò! Bon velò», dicono i francesi. Forse più colpiti dal fatto che le bici fossero tutte uguali, piuttosto che dal modello. In Francia ognuno corre con la propria bici.
E il figurone qui in Francia lo hanno fatto anche in corsa, almeno in parte. «Oh ma qui sono matti: vanno piano sugli strappi e a tutta in discesa. Comunque si vedeva che eravamo i più forti», ha detto Russo appena dopo la corsa.
E tutto sommato ha ragione. Solo che lo hanno “dimostrato troppo” e nel momento sbagliato della corsa. Insomma hanno scoperto le carte e quando c’è stato un attacco tutti gli altri li aspettavano al varco.
Errori di gioventù. La cosa che fa sorridere è che Dario Giuliano, nome italiano ma francese di fatto, ha fatto esplodere il suo vantaggio proprio nei 3 chilometri di “terra di nessuno” indicati da Bardelli nella riunione della vigilia. Poi i CPS hanno provato a chiudere, ma ormai era tardi.
Le risposte però sono state positive. Le gambe c’erano. Un ragazzino come Lorenzo Finn alla prima da juniores è stato protagonista. Il più deluso è forse Matthias Schwarzbacher, 15°, colui che alla vigilia voleva attaccare. Ma una gara corposa l’hanno fatta anche Tommaso Farsetti e Danil Shyrin: sempre nel vivo della corsa. «Dovevamo parlarci di più», ammette Farsetti nel viaggio di rientro verso la casa.
Sognando Nibali
Ma in tutto ciò, mentre si pensa e ripensa su quanto accaduto e mentre si aspetta il debriefing per la corsa andata e la riunione per quella che verrà, merita due parole il vincitore, Dario Giuliano.
Quando a due giri e mezzo dall’arrivo è scattato, gli altri ragazzi del CPS a bordo strada hanno subito commentato la sua pedalata potente: «Avete visto “raga”, quanto spingeva. Ed era pure a bocca chiusa».
Quando Giuliano taglia il traguardo ha tutto il tempo di godersi l’arrivo della prima frazione della Challenge Anthony Perez.
«Era la prima volta che arrivavo da solo in una gara – dice Giuliano – e infatti ho avuto un po’ paura che succedesse qualcosa. Conoscevo i distacchi, lo vedovo dalla modo e me li dava l’ammiraglia. E conoscevo anche questa corsa. Io vivo verso i Pirenei, a 200 chilometri da qui, ma la mia squadra (la Cyclisme Comminges – Garonne, ndr) non è di questa zona. Lo scorso anno avevo fatto settimo e volevo fare bene. Certo, non pensavo di vincere»
«Il mio nome italiano? Mio nonno era di Cuneo. Capisco qualche parola d’italiano ma non lo parlo. Però il mio corridore preferito è italiano. Anzi, era: Vincenzo Nibali».
Intanto mentre pubblichiamo questo articolo in casa CPS si mangia. Un riso fumante per i ragazzi, un buon rosso per noi grandi. E via a sognare altri traguardi. E con le gambe di oggi si può sognare eccome…