Inutile cercare di estorcergli qualcosa sul progetto di una nuova squadra, Davide Cassani si chiude a riccio e il discorso finisce lì. Oggi però lo abbiamo chiamato per parlare di under 23, dopo aver digerito l’intervista in cui Marco Selleri, organizzatore del Giro d’Italia U23, ha parlato del nostro movimento con tono piuttosto disincantato.
«In questi 5 anni – le sue parole – abbiamo fatto attività sociale per le squadre, senza alcuna forma di profitto. Attività sociale, ma utilizzando un sistema mediatico professionistico. Abbiamo alzato l’asticella del valore tecnico dei nostri corridori, ma non ne abbiamo ancora trovato uno che vada forte nelle corse a tappe. A volte mi chiedo se non valga la pena concentrarsi sugli juniores…».
Un lavoro lunghissimo
La rinascita del Giro d’Italia U23 aveva come scopo proprio quello di riqualificare l’attività dei nostri giovani, con l’aggiunta di qualche convocazione in nazionale con cui Davide proponeva loro il confronto con i professionisti. Ora che non fa più parte della macchina federale, che idea si è fatto della situazione?
«Sapevamo – dice – iniziando l’avventura del Giro d’Italia U23 che sarebbe stato un lavoro stralungo su cui si deve continuare. I risultati arrivano solo con la costanza e la continuità. Chiaro che se per qualsiasi motivo il Giro d’Italia non dovesse andare avanti, in breve torneremmo all’anno zero».
Si può vedere qualche risultato apprezzabile?
Quasi tutti quelli che si sono messi in luce al Giro, sono passati professionisti. Oppure girerei il discorso: tutti quelli che sono passati professionisti, italiani e stranieri, hanno fatto un calendario che comprendeva anche il Giro. Ha alzato il livello, costringendo le squadre a fare una programmazione e una preparazione specifica. Le nostre continental, tranne un paio di eccezioni, corrono tanto in Italia e avevano bisogno di un banco di prova più qualificato.
Abbiamo anche vinto due mondiali U23…
Esatto, gli ultimi due che si sono disputati, visto che nel 2020 è saltato per il Covid. Il guaio è che abbiamo tutti fretta, per cui appena c’è un corridore buono si fa passare. Magari non è pronto, il più delle volte non lo è. Ma se provi a dirglielo, non ti ascolta.
Continuità e costanza…
Fare un piazzamento al Giro è importante, ma è ancora più importante tornarci per migliorarlo. Si deve fare un gradino per volta, prima di pensare di arrivare in cima alla scalinata. Ma si continuano a prendere ad esempio le eccezioni come Evenepoel e si fanno calendari che non hanno l’obiettivo della maturazione, quanto piuttosto la conta delle vittorie.
Si corre troppo?
All’estero quelli che sono passati negli ultimi anni facevano un calendario con una corsa a tappe al mese e nel resto del tempo si allenavano per prepararla. Blocchi di 5-6-7 corse a tappe e la programmazione necessaria. Da noi invece si corre tutte le domeniche e il martedì e il calendario non ha grande programmazione. Basterebbe guardare come fanno le squadre pro’, come fa la Eolo, che individua le corse e poi organizza il modo per arrivarci al meglio.
Non lo fa nessuno?
Come ho detto un paio di eccezioni ci sono, squadre che abituano il corridore a preparare delle specifiche parti di stagione. Il Giro serve a questo. Non puoi portare un corridore facendolo correre fino al giorno prima. Bisogna che arrivi fresco, quindi che stacchi, magari vada in altura, si alleni su salite lunghe… Con il Giro in qualche modo li abbiamo costretti a lavorare nel modo giusto.