Guardando settimana dopo settimana l’andamento dell’attività juniores internazionale, è facile notare come ai primi posti delle grandi prove, sia a tappe che d’un giorno, ci siano due team che spopolano. Uno è l’Auto Eder che abbiamo visto essere l’emanazione fra i più giovani della Bora Hansgrohe. La storia del Cannibal Team, che già dal nome sembra incutere terrore, è ben diversa. Formazione di nascita belga, è qualcosa che va molto al di là: una vera e propria multinazionale di talenti, con corridori che provengono da ben 17 Nazioni.
Un team che fa dell’originalità il suo punto forte e lo si capisce già dalla sua singolare storia, raccontata con infinita passione dal suo direttore sportivo Francis Van Mechelen.
«L’idea è nata una decina di anni fa a me e mia moglie, Erika Aliskeviciute – spiega – che correva e che è ora la presidente del team. Eravamo in Lituania allora e volevamo dare la possibilità di fare ciclismo ai nostri figli Vlad e Gloria, ma non trovavamo un team adatto».
«Così abbiamo pensato di fare da soli, facendo una squadra solo di coetanei dei nostri figli (Vlad è del 2004, Gloria due anni più grande). Loro crescevano, passavano di categoria e lo stesso faceva il team, facendo crescere con loro altri ragazzi che arrivavano da ogni parte del mondo, fino ad arrivare alla realtà attuale con 24 corridori di 17 Paesi diversi».
Perché avete scelto questa soluzione?
Noi abbiamo scelto inizialmente ragazzi provenienti da Paesi dove il ciclismo non è uno degli sport maggiormente praticati, per dare loro modo di vivere la propria passione, ma pian piano siamo cresciuti e l’idea con noi. Noi viviamo in Lituania, il Paese di mia moglie, ma i ragazzi sono in Belgio per seguire l’attività. Abbiamo ben chiaro ciò che vogliamo fare noi e vogliono fare i nostri ragazzi, dobbiamo solo metterli nelle condizioni migliori per raggiungere i loro limiti. Non è un caso se Vlad è l’unico belga del team.
La particolarità, visto il momento storico, è che al suo interno ci sono ciclisti russi, ucraini e americani…
Per noi questo è molto importante. I ragazzi sono cresciuti insieme, sono amici tra loro e la guerra gli è piovuta addosso. Sono un esempio di come lo sport trasmetta messaggi ben diversi da quelli che sentiamo nei telegiornali. Sono qualcosa da raccontare ai giovani, per far capire che è lo sport il terreno adatto per competere, in maniera leale, in comunità, restando amici. I corridori russi sono arrivati molti mesi fa, hanno iniziato ad allenarsi con gli ucraini e hanno subìto la guerra esattamente come i loro coetanei provenienti dall’altra parte. Odiano la guerra allo stesso modo, sono vittime come noi perché la guerra non ha vincitori, fa solo vittime.
Tra tanti ciclisti non ci sono italiani. Avevate pensato a qualche corridore nostrano da contattare?
Grazie per la domanda perché mi consente di sottolineare come i rapporti con il ciclismo italiano e la sua federazione siano sempre difficili. Ogni volta che partecipiamo a una gara italiana dobbiamo sempre presentare una marea di documenti, quando si gareggia in Belgio come in qualsiasi altro Paese è tutto molto più semplice. Nel corso degli anni, anche pochissime settimane fa, abbiamo ricevuto tante richieste da parte di corridori italiani e ne prenderemmo volentieri e vogliamo farlo, ma gli ostacoli che la Fci pone sono davvero enormi. Vi faccio un esempio…
Prego…
Ad inizio anno mio Vlad era venuto in Italia per il Giro di Primavera a San Vendemiano, non volevano farlo partire, per fortuna ho trovato persone alla federazione belga che al sabato hanno trasmesso i documenti richiesti, così Vlad ha potuto correre e finire secondo. Bisogna che in Italia qualcosa cambi, non è possibile continuare così, sia per gareggiare, sia per favorire gli scambi, che poi rappresentano un’insostituibile esperienza di crescita.
A tal proposito, come vivono insieme?
Noi abbiamo corridori che vengono da Paesi come Usa o Australia, che hanno bisogno di un visto e possono restare 3 o 4 mesi. Sono quelli delle gare, poi ripartono e tornano successivamente. Quelli europei hanno più facilità di movimento, raggiungono il punto base per un paio di settimane legate all’evento, poi tornano a casa. Noi abbiamo una Team House frequentata da almeno 6-7 ragazzi ogni giorno: fanno tutto insieme, dalle faccende domestiche alle uscite di svago, dallo studio agli allenamenti. Si vive come una vera famiglia e questa comunanza si traduce anche in gara, dove corrono davvero come un gruppo unito.
Siete collegati a qualche squadra WorldTour?
Proprio nelle ultime ore abbiamo stretto un rapporto con un team WorldTour come formazione Development, ma lo annunceranno loro. Intanto però i nostri ragazzi hanno già siglato accordi con formazioni U23 dell’area WorldTour: mio figlio e l’estone Ragilo andranno al Team DSM, l’americano Shmidt all’Hagens Berman Axeon, ma anche altri si muoveranno.
Fra loro c’è anche suo figlio Vlad: correre con tanti stranieri lo ha fatto crescere?
Enormemente e non solo come corridore. Noi abbiamo iniziato a far correre i nostri ragazzi quando avevano 10-11 anni, hanno corso in tutta Europa, anche alla vostra Coppa d’Oro, questo li ha portati a gareggiare nelle gare junior Uci senza stress, quasi fosse normale e devo dire che questo atteggiamento mentale ce l’hanno anche i ragazzi italiani, molti dei quali ad esempio parlano bene inglese. Io ho visto Vlad maturare tantissimo come persona e questo serve anche agonisticamente, come si è visto al recente Giro della Lunigiana. Ora è già stato convocato per i Mondiali e ci aspettiamo tanto.
Chi sono gli elementi più promettenti?
Sono tanti quelli che possono far bene anche fra i pro’, ma il migliore probabilmente è Roman Ermakov e mi dispiace sinceramente che l’Uci non gli permetta di poter competere ai mondiali penalizzandolo solo per colpa del suo passaporto, penalizzandolo per colpe non sue. Avrà comunque un grande futuro.
Riguardo a questi ragazzi, qual è il suo sogno?
Quando i ragazzi erano piccoli, il sogno era farli salire di categoria in categoria. Ora vogliamo che arrivino al WorldTour, noi intanto andremo avanti, cercheremo di prendere 2-3 ragazzi da ogni Paese e farli crescere insieme, non solo ciclisticamente. Ad esempio i nostri ragazzi hanno tutti appreso l’inglese in massimo 3 mesi. Li facciamo crescere insieme, vivere insieme, diventare uomini veri. Siamo aperti, nonostante tutto, anche a portare da noi qualche italiano: chi volesse può scriverci a cannibalcycling@gmail.com presentandosi con il proprio curriculum. A noi piacerebbe molto…