Che Dario Igor Belletta fosse uno degli junior più in vista del movimento italiano era cosa risaputa sin dallo scorso anno, dal suo trionfo al Gran Premio Liberazione. Ora però si può chiamarlo campione, dopo che a Cherasco (Cuneo) ha conquistato la maglia tricolore che era il suo grande obiettivo per questa prima parte di stagione. E non lo ha certo fatto in maniera semplice. Pur essendo accreditato alla vigilia di grandi possibilità in caso di arrivo in volata, il portacolori della GB Junior Team-Pool Cantù 1999 ha scelto la maniera forte, andandosene addirittura a 35 chilometri dal traguardo, con un’azione di quelle che riescono solo ai grandi, quando in palio c’è qualcosa di veramente importante.
A ben guardare, questo potrebbe essere non solo il segnale di un salto di qualità, ma anche di un effettivo cambio di pelle da parte di Belletta, intenzionato ad ampliare sempre più il parco di armi a disposizione per fare la differenza anche in contesti ben più elevati.
Esaltato nel caldo torrido
Ripercorrendo la sua cavalcata vittoriosa (l’arrivo nella foto di apertura di Flaviano Ossola), Dario sottolinea un aspetto importante.
«E’ stata una gara resa ancor più dura dal caldo – dice – si toccavano i 38°C e il tracciato era sempre sotto il sole (dei 170 partenti, solo 49 sono arrivati, ndr). Fino al penultimo giro la gara era stata abbastanza chiusa, ma nel gruppo c’era molta stanchezza, io invece sentivo di averne e al Gpm ho capito che era il momento di andare. Ho anche sperato che qualcuno mi seguisse, invece mi sono ritrovato da solo e a fine discesa il vantaggio era cospicuo, così ho tirato diritto».
Avresti potuto tranquillamente aspettare lo sprint, invece hai scelto un’azione più rischiosa, significa che stai cambiando?
E’ logico che sia così, il ciclismo moderno lo impone. Rimanere sulle ruote non paga, aspettare lo sprint è un rischio. Io resto un corridore veloce e questo non cambia, ma non basta per distinguersi, voglio dire la mia su ogni tipo di percorso. Quello di Cherasco era duro, con oltre 2.000 metri di dislivello, ma io sto lavorando proprio sui miei punti deboli, sto migliorando nella mia tenuta in salita: non sarò mai uno scalatore, ma voglio essere un corridore il più completo possibile.
Quest’anno hai gareggiato spesso in corse a tappe, anche all’estero. Considerando questa tua trasformazione in essere, che cosa ci possiamo aspettare da te nelle gare di più giorni?
Le gare a tappe sono davvero dure e per curare la classifica servono caratteristiche specifiche. Credo che la caccia alle vittorie parziali sia più nelle mie corde. Alla Corsa della Pace per tre volte sono entrato nei primi 6. Le gare a tappe sono qualcosa di diverso dal resto, più ne fai e più migliori.
E’ chiaro che questa vittoria tricolore ti proietta in maniera particolare verso l’europeo del fine settimana: che cosa sai al riguardo?
Il tracciato va ancora visto e studiato, soprattutto dovremo parlare col cittì Salvoldi per capire come interpretare la corsa, ma poi si sa che tutte le tattiche che puoi studiare alla vigilia vanno verificate in base a come si evolve la gara. So comunque che è un percorso abbastanza impegnativo, non troppo dissimile da quello di domenica scorsa.
Quindi non sai ancora quali saranno i vostri ruoli…
No, ne parleremo con Salvoldi al momento adatto, quel che posso garantire è che come ho fatto in tutte le altre occasioni, darò tutto per la maglia azzurra, spremendo fino all’ultima goccia di energia. Sia che si possa correre per una soddisfazione personale, sia che si tratti di difendere un compagno.
Ormai sei un punto fermo della nazionale…
So che Salvoldi ha molta fiducia in me e voglio ricambiarla, qualsiasi compito mi venga dato. L’importante è che emerga uno di noi (con Belletta correranno Mirko Bozzola, Lorenzo Conforti, Luca Paletti, Matteo Scalco e Leonardo Volpato, ndr).
Andiamo un po’ avanti nel tempo: a fine anno cambierai categoria, hai già idea di quel che succederà?
Non ho ancora firmato, ma so che andrò in una squadra estera di grande prestigio, dove mi faranno correre fra gli under 23. Mi hanno già detto che dovrò farmi le ossa nella categoria inferiore e sono contento di questo, perché sono convinto che passare subito sarebbe un errore, c’è ancora tanto da imparare.
Andare all’estero ti preoccupa o ti entusiasma?
Sicuramente il secondo caso. So che a 18 anni è un po’ un salto nel buio, ma se voglio fare questo mestiere devo investire il più possibile su me stesso. Non ho paura d’integrarmi con la squadra e lo staff, parlo fluentemente inglese e quindi non ci saranno problemi da quel punto di vista.
E come modo di correre, in base alle esperienze che hai fatto quest’anno ci sono differenze con il ciclismo italiano?
Sì, noi siamo abituati a correre al risparmio e giocarci tutto nel finale, ma quando vai all’estero ti accorgi che quelle sono battaglie vere, dal primo all’ultimo minuto. Il ciclismo vero ormai è fuori dai nostri confini e bisogna adattarsi il più possibile. Un’azione come la mia di domenica molti l’hanno vista come un azzardo, all’estero è la regola…