Il Tour de l’Ardeche regala spesso soddisfazioni e motivi d’interesse per il ciclismo italiano. Nell’edizione che ha rilanciato Marta Cavalli, vincitrice davanti a Erica Magnaldi, al settimo posto ha chiuso Barbara Malcotti, che sulle strade francesi ha anche colto la sua prima vittoria internazionale da quando milita nelle fila della Human Powered Health. A ben guardare, il suo successo non è casuale, ma anzi arriva al termine di un percorso di crescita che ha attraversato tutta questa stagione.
Dalla Francia alla Cina
Barbara, che poi ha preso parte al Giro di Romandia e che ora sarà in gara in Italia per due classiche di fine stagione prima dell’ultimo appuntamento del team in Cina, ha una voce squillante nel raccontare quest’ultimo segmento stagionale, segno che le cose cominciano davvero a girare nel verso giusto.
«E pensare che la gara francese non era iniziata nella maniera migliore – racconta la trentina – non stavo bene i primi giorni così mi sono messa a disposizione della squadra, lavorando per la nostra velocista di punta Daria Pikulik. La polacca ha vinto la prima e la terza tappa e anche la seconda poteva essere nostra se non ci fosse stata una grande caduta all’ultima curva».
Poi però qualcosa dev’essere scattato nella sesta tappa, anche perché è stata una vittoria di forza…
In partenza non avevo particolari aspettative, visto come stavano andando le cose. Per il team il bilancio era già in attivo, avevamo anche Buijsman in classifica. La FDJ quel giorno ha fatto il diavolo a quattro, ma quando il gruppo si è ricomposto, ho provato a partire in contropiede. Mancavano 35 chilometri, speravo che qualcuna si accodasse, invece mi sono ritrovata da sola. Ho pensato che non avrei avuto possibilità, io che passista non sono, anche perché dopo 5-6 chilometri il vantaggio stazionava sui 30 secondi.
E poi?
Poi le mie compagne hanno fatto un lavoro meraviglioso. Chiudevano su ogni tentativo e soprattutto sfruttavano il fatto che si pedalava su strade abbastanza strette, era difficile organizzare un inseguimento. Io mi sono ritrovata ai piedi del muro dell’ultima parte con 1’45” di vantaggio, in cima ne avevo ancora 55”. Scollinando avevo ancora un minuto e a quel punto ho capito che anche se recuperavano da dietro, era fatta.
Che effetto ti ha fatto alzare le braccia al cielo?
Quel giorno non lo dimenticherò facilmente. Vedere i diesse che piangevano per la gioia, le compagne quasi più felici di me. Inoltre prima del Giro d’Italia non sapevo ancora se mi avrebbero confermato, poi qualche buon risultato era arrivato, ma questa vittoria ha messo le cose a posto. Ho già in tasca la conferma per il prossimo anno.
Tu venivi dall’esperienza duplice di Giro e Tour. Si dice sempre fra gli uomini che i grandi Giri cambiano il motore di un corridore, fra le donne, pur considerando la minor lunghezza, avviene lo stesso?
Sulla base della mia esperienza sì, ma è qualcosa di meno incentrato sui grandi Giri, nel senso che io reputo tutte le gare WorldTour di un livello talmente alto da cambiare chi partecipa con costanza. La differenza si vede fra chi ha un’attività prettamente nazionale e chi gareggia all’estero, c’è un abisso… A proposito del Tour c’è un elemento che spiega come una gara simile influisca su un’atleta.
Quale?
Dopo il Tour ero talmente “cotta” che il team mi ha dato una settimana di libertà, nella quale ho fatto una vacanza al mare, senza toccare la bici. Ho ripreso con un paio di gare francesi e il Giro dii Scandinavia e mi sentivo diversa. Il Tour è stata di gran lunga la gara più dura che abbia mai fatto, ma ha avuto un influsso benefico.
Come giudichi la tua esperienza nel team americano dopo due anni?
Mi ha cambiato tanto. Pur mantenendo la mia residenza a casa, si sta sempre in giro, praticamente non ho fatto una settimana completa in famiglia da aprile in poi. Mi ha fatto correre molto, l’obiettivo per me come per le altre era raccogliere più punti possibile per restare nel WorldTour e questo mi ha consentito di fare tanta esperienza. L’organizzazione è perfetta e sono sicura che il prossimo anno faremo un ulteriore salto di qualità, verso l’obiettivo che il team si è posto: essere fra tre anni uno dei riferimenti del gruppo.
Ma dal punto di vista personale?
Credono molto in me e nelle mie possibilità, adesso che sono più tranquilla per l’immediato futuro vogliono farmi crescere ancora. Io da parte mia mi sento più tranquilla ma certamente non appagata. Correre con la mente sgombra è però un aiuto, non nego che fra Giro e Tour il fatto di non sapere che cosa avrei fatto a fine stagione pesava come un macigno.