Domenica scorsa Tatiana Guderzo è tornata ad assaggiare il sapore inebriante della corsa. Lo ha fatto al GP Feminin de Chambéry, facendo così il suo esordio alla Top Girls Fassa Bortolo, la squadra dei suoi esordi, dov’è tornata dopo ben 16 anni. C’è voluto tempo per rivederla in carovana: erano oltre 6 mesi che non attaccava il numero sulla bici.
«Sei mesi difficili – dice la vicentina, in apertura assieme a Letizia Paternoster dopo il ritiro di Calpe con la nazionale – tra problemi fisici e anche personali che mi hanno più volte arrestato nella preparazione. Io non vado mai alle corse solo per far figura, ma certo tutti questi stop non sono un toccasana per un motore come il mio: quando hai alle spalle tanti anni di attività, ogni volta ripartire è dura».
In terra francese la Guderzo ha potuto finalmente interpretare quel ruolo di “regista in corsa” che l’aveva convinta a insistere, mettendo da parte i propositi di ritiro almeno per un po’. Può sembrare strano parlando di un’atleta che frequenta il ciclismo ai massimi livelli dal 2005, che ha vinto titoli mondiali e medaglie olimpiche, eppure l’esperienza transalpina le ha regalato grandi emozioni come solo il ciclismo sa dare.
Un ritorno al passato
«Stando in mezzo a tante ragazze così giovani, ho fatto un tuffo nel passato – racconta la vicentina – ho rivisto quel modo d’interpretare l‘attività in maniera giocosa, meno focalizzata al risultato a tutti i costi di com’ero io negli ultimi anni. Ho rivisto con tenerezza quell’insicurezza tipica delle prime esperienze, ma non parlo solo della gara perché è stato il contorno che mi ha colpito in maniera forte».
In che misura?
Tutta la trasferta è stata bellissima, ad esempio raccontare aneddoti e avventure di quasi vent’anni di attività a ragazzine che ascoltavano con grande attenzione, con occhi quasi rapiti, oppure spiegare loro qualche trucchetto in corsa, in gruppo. Le vedevo entusiaste e mi sono fatta contagiare anch’io. Il problema è che la condizione chiaramente non c’è, per quella serve tempo.
Parlavi dell’approccio delle ragazze, rispetto a quando avevi tu la loro età, che differenze hai notato?
Premetto che spesso ci siamo allenate insieme, abbiamo passato alcune domeniche con Lucio (il team manager Rigato, ndr) che ci chiamava per allenamenti collettivi per “fare squadra”. In corsa però, prima durante e dopo, è tutto diverso. Un paio di loro già le conoscevo ed erano quelle che erano per questo un pochino più disinvolte, le altre erano un po’ intimidite e profondamente rispettose. Soprattutto vedevo che guardavano incuriosite il fregio che ho sulla maglia, che ricorda la mia vittoria mondiale. Pian piano poi hanno capito che sono uguale a loro e si sono sciolte. Soprattutto a tavola e qui voglio raccontarvi un particolare…
Prego…
Lucio è rimasto quello dei miei esordi: a tavola i telefonini sono proibiti. Io me n’ero dimenticata e distrattamente lo stavo prendendo, mi sono sentita arrivare una gomitata dalla compagna: «Mettilo da parte, sennò ti multa!». L’ho ringraziata e mi sono accorta che alla fine il tempo passava e non avevamo l’esigenza di fissare sempre e comunque quello schermo. Siamo rimaste due ore e mezza a parlare, ridere, condividere storie e speranze. E’ stato bellissimo, per me quasi miracoloso.
E in gara?
Le ragazze hanno capito subito che c’è un tempo per ridere e uno per fare le cose sul serio. Quando metti il numero, non si scherza più, si lavora. In corsa abbiamo lavorato bene, favorito la fuga con la giovanissima Tonetti che si è ritrovata a giocarsi un podio che alla sua età è tanta roba. Io sono arrivata al traguardo 53ª e nelle mie condizioni attuali è già tanto, non era certo la gara che per caratteristiche tecniche era ideale per rompere il ghiaccio.
Intanto poco lontano Elisa Longo Borghini conquistava la Parigi-Roubaix, non la prima né l’ultima classica vinta dal ciclismo italiano femminile quest’anno. Un dominio assoluto che schiaccia le olandesi, rimaste ancora a bocca asciutta. Come ti spieghi questo cambio ai vertici?
Lo sport è una ruota che gira. Prima le olandesi avevano talenti in serie, ora li abbiamo noi. Non è un caso: quando passai io, venivamo da anni di buco dopo le imprese della Luperini, poi però c’è stata continuità, con me c’era la Bronzini, la Cantele e le ragazze di oggi hanno potuto crescere con calma, senza pressioni. Io feci il mio primo mondiale assoluto a 19 anni e ricordo bene la pressione che mi sentivo addosso, neanche proveniente dagli altri, ero io stessa che sentivo la responsabilità e volevo chissà cosa. Poi non dimentichiamo che rispetto ad allora è cambiato tutto, dalle metodologie ai materiali alla professionalità delle squadre. Ma attenzione: vincere una Roubaix come ha fatto Elisa o la Freccia di Marta non lo fai se non hai talento e gambe. I 200 metri finali della Cavalli sono stati impressionanti.
Quanto conta nell’affermazione del ciclismo italiano avere squadre come la vostra? La sensazione è che la situazione sia opposta a quella maschile, quindi l’assenza di un team WorldTour italiano non pesi così tanto, ma a fronte di ciò ci siano squadre che fungono da vere e proprie scuole che sfornano talenti…
E’ vero in parte. Io vedo la nostra realtà: è incredibile vedere Lucio che dopo 50 anni non ha perso un’oncia della sua passione e del suo occhio, sa ancora cogliere al volo doti e pecche di ogni ragazza. Di team così ce ne sono, ma io penso che una squadra italiana nel WorldTour ci debba essere e la sua assenza resta una fonte di preoccupazione. Poi non dimentichiamo l’importanza dei corpi militari che danno a tante ragazze quella sicurezza fondamentale per crescere con calma.
Quanto tempo ci vorrà per rivedere la Guderzo che conosciamo?
Ci vuole pazienza, alla mia età servono gare su gare, crescere pian piano. Ora farò il Giro del Lussemburgo e il Giro di Bretagna, due prove a tappe che saranno utilissime in tal senso. Aspetto con ansia l’arrivo del caldo, io credo che a giugno la mia situazione sarà un po’ diversa, ma incrociamo le dita…