L’avventura parigina delle Hashimi, con un messaggio nel cuore

09.08.2024
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Una fuga per far vedere di esserci, per dare risonanza al loro messaggio perché già il fatto di essere lì, a Parigi, nel massimo consesso sportivo era un successo ma anche la dimostrazione che si può fare. E’ quanto hanno inteso fare Yulduz e Fariba Hashimi, le due ragazze afghane entrate nella prima fuga di giornata della prova in linea.

Che poi siano state riprese, siano finite nelle retrovie fa parte del gioco e non influisce sulla loro prestazione, utilizzata come un gigantesco megafono per far capire qual è la situazione delle loro connazionali.

Le due ragazze afghane insieme all’ammiraglia, prima del via della prova in linea
Le due ragazze afghane insieme all’ammiraglia, prima del via della prova in linea

Libere dal 2021

La loro storia: le due ragazze, insieme ad altre sono scappate dall’Afghanistan con il ritorno al potere dei talebani, che hanno cancellato tutte le libertà dell’intero universo femminile. Per permettere loro di fuggire e di continuare a nutrire la loro passione sportiva, decisivo è stato l’impegno di Road to Equality, l’organizzazione di Alessandra Cappellotto, l’ex campionessa del mondo che non ha mai smesso di essere vicina alle due ragazze, sin da quei concitati giorni del 2021.

«Avevano visto le Olimpiadi di Tokyo proprio pochi giorni prima del ritorno dei Talebani a Kabul, sognavano di esserci un giorno ma quegli eventi avrebbero cancellato tutte le loro aspirazioni. In quei giorni a Parigi, prima della corsa ne abbiamo parlato spesso, ho ricordato loro tutto il cammino che avevano compiuto per esserci».

Le ragazze afghane all’arrivo a Parigi con lo staff della Cappellotto (a sinistra)
Le ragazze afghane all’arrivo a Parigi con lo staff della Cappellotto (a sinistra)

Il villaggio e il “tutto gratis”

Cappellotto è stata azzurra a Atlanta 1996 e Sydney 2000, sa bene che cosa sono le Olimpiadi e non ha mancato di spiegarlo alle ragazze.

«E’ qualcosa di bellissimo ed enorme, ho detto loro di prenderlo come un regalo della vita e di godersi tutta l’esperienza. E’ esattamente quel che hanno fatto e era particolare vedere la loro sorpresa per cose che per noi sembrano normali: il buffet gratuito aperto a ogni ora, i distributori della Coca Cola nel villaggio anche questi gratuiti, i contatti con gente dalle più diverse estrazioni geografiche e sociali. Sono ancora ragazzine, hanno una certa ingenuità negli occhi, vivevano tutto come un sogno».

La fuga iniziale era programmata? «Per certi versi sì. Avevo detto loro che sapevano bene come si sarebbero confrontate con atlete dai valori diversi, con una forza, una capacità, un’esperienza di molto superiori. Ma loro potevano farsi notare. Ho suggerito di alternarsi, andare in fuga prima una e l’altra sarebbe rimasta nel gruppo potendo riposare di più, poi appena riprese poteva provarci l’altra. Ma una corsa è sempre difficile da programmare, alla fine essere in fuga entrambe è stato comunque utile».

Fariba a confronto con il presidente Uci Lappartient: la presenza delle afghane è stata un valore aggiunto
Fariba a confronto con il presidente Uci Lappartient: la presenza delle afghane è stata un valore aggiunto

I problemi della famiglia

Ma come hanno vissuto quest’esperienza ciclistica? «Per loro era un sogno, quasi il compimento di un percorso iniziato quando in Afghanistan gareggiavano con scarpe da ginnastica e bici assolutamente non professionali, senza alcuna nozione di tattica o di allenamento specifico. Hanno fatto progressi incredibili, all’inizio non sapevano neanche come affrontare una curva».

Yulduz e Fariba però hanno voluto sfruttare l’occasione e la fuga anche per farne un manifesto, un messaggio rivolto alle loro connazionali: «Per questo non abbiamo voluto gareggiare nel Team dei Rifugiati – hanno spiegato dopo la corsa – le cose devono cambiare. La situazione nel nostro Paese va peggiorando di giorno in giorno. Nostro fratello più piccolo è stato ferito con un coltello alla testa e chi lo ha fatto gli ha detto che era per noi che eravamo alle Olimpiadi. La nostra famiglia ha cambiato casa quattro volte da quando siamo espatriate, ma evidentemente non è bastato».

Fariba ha chiuso al 75° posto a 11’24” dalla Faulkner. La sorella, ritirata, era stata 26ª a cronometro
Fariba ha chiuso al 75° posto a 11’24” dalla Faulkner. La sorella, ritirata, era stata 26ª a cronometro

L’importanza del messaggio

«Ci tenevano tanto a essere a Parigi proprio per farne una cassa di risonanza della loro situazione – riprende Alessandra – Da quando sono arrivati i Talebani la situazione è peggiorata molto. Inizialmente volevano sembrare più morbidi, poi è emersa la loro vera natura: non solo burka per le donne, ma niente lavoro, niente studio, niente di niente. Le ragazze sono in contatto con le loro amiche in Afghanistan. E queste le dicono come la mancanza dello studio sia quella che patiscono di più».

Alla Cappellotto arrivano ogni giorno richieste: «Il problema è che non abbiamo le forze per dare una mano a tutte coloro che vorremmo. Mi arrivano chiamate ogni giorno. Ci sono ragazze che sono riuscite ad espatriare, che ora sono in Iran ma non possiamo accoglierle. Ci sono famiglie che da un anno e mezzo sono in attesa dei permessi per poter uscire dai centri di accoglienza ma la burocrazia ha tempi lenti, lentissimi, quindi a chi chiama non possiamo dare le risposte che vorrebbero e vorremmo».

Lappartient con il gruppo afghano sotto la Tour Eiffel. Una presenza che ha lanciato un messaggio
Lappartient con il gruppo afghano sotto la Tour Eiffel. Una presenza che ha lanciato un messaggio

Sognare fino all’ultimo una medaglia

Ora le ragazze hanno messo questa bellissima esperienza alle spalle: «Fariba è già tornata e parteciperà al Tour de l’Avenir Femmes, Yulduz è ancora a Parigi e prenderà parte alla cerimonia di chiusura. Vuole godersi l’esperienza fino in fondo. Il bello è che nella loro ingenuità, quando hanno finito la corsa erano anche un po’ deluse perché in fondo al cuore sognavano una medaglia. E secondo me il bello delle Olimpiadi è proprio questo, avere potuto sognare fino alla fine».