Quelli del Tour ne sanno una più del diavolo e nell’avvicinamento alla Parigi-Roubaix Femmes hanno iniziato a fare interviste alle atlete più in vista. Leggere le dichiarazioni di Lotte Kopecky e Margaux Vigié è stato sicuramente interessante, ma quando ci siamo imbattuti nelle parole di Chiara Consonni, abbiamo subito pensato di riprenderle per un breve pezzo che racconti quanto l’estrosa velocista bergamasca, campionessa olimpica della madison, sia legata alla corsa del pavé.
«Vedere Sonny Colbrelli vincerla – dice Consonni – mi ha ispirato a pensare che un giorno potrò essere lassù anch’io e provare a fare qualcosa per cui sarò ricordata. Mi piace la pietra che riceve il vincitore ed è molto emozionante entrare nel velodromo, soprattutto per chi è pistard. Amo la pista e finire le mie quattro Roubaix in quel velodromo ha reso l’esperienza ancora più emozionante e speciale».
La pressione delle gomme
L’arrivo in pista, unito alla necessità di restare a galla sulle pietre francesi, è uno dei fattori su cui ragionare a lungo dovendo scegliere i materiali e la pressione delle gomme, che in un arrivo su pista di cemento è decisiva.
«Si fanno molte ricognizioni – dice Consonni – per adattare il materiale, risvegliare le sensazioni e aumentare la fiducia in vista di una delle giornate più stressanti della stagione. Fare diversi test sulla pressione delle gomme e come adattarsi alle condizioni meteorologiche che si troveranno il giorno della gara, è fondamentale. Ad esempio, l’anno scorso avevamo la possibilità di usare la monocorona, ma io non ho voluto e ho scelto la doppia. La cosa più importante per me è sicuramente bilanciare la pressione delle gomme. Ci sono molti settori di pavé, ma l’arrivo nel velodromo è una volata pura».
Una corsa folle
Al pari di Ganna che sfiderà il pavé fra gli uomini, la capacità di passare dal pavé alle pietre denota grande talento e capacità di guida della bici. Nel caso di Chiara, che quest’anno è passata dal UAE Team Adq alla Canyon//Sram zondacrypto, la capacità di adattamento è legata anche a un carattere a dir poco estroso.
«Prima della Roubaix – racconta Consonni – avevo già corso grandi classiche come il Fiandre e la Gand-Wevelgem, quindi ero abbastanza abituata. Invece il pavé della Roubaix è ancora più difficile del pavé del Belgio. C’è molto più spazio tra i ciottoli, quindi la sfida è non perdere velocità e slancio. E poi il meteo può cambiare le carte in tavola. La prima volta che ho pedalato sul pavé della Parigi-Roubaix fu a due mesi prima dalla prima edizione. Facemmo una ricognizione con la Valcar, il tempo era splendido, invece il giorno della gara fu terribile. Piovve dall’inizio alla fine e controllare la bici e restare in piedi sul pavé fu più difficile. Ma la verità è che mi divertii un sacco. E’ la mia corsa dei sogni… Perché è folle, come me! La Parigi-Roubaix mi regala sogni e incubi. Mentalmente ed emotivamente, sono molto coinvolta».
Ritirarsi, no grazie
L’intervista è ancora lunga, ma l’ultimo aspetto su cui soffermiamo la nostra attenzione è legato alla testa dura di non ritirarsi mai, capiti quel che capiti.
«L’anno scorso – conclude Chiara – è stata una delle edizioni più difficili per me. Avendo già maturato l’esperienza delle prime tre, volevo davvero fare bene. Invece ho forato due volte, sono caduta e così mi sono ritrovata a inseguire il gruppo fin dal primo settore. Ero sempre indietro, non sono mai riuscita a stare con il gruppo di testa. Ho perso presto l’occasione di fare qualcosa di buono, ma non mi sono mai arresa e sono comunque riuscita a concludere una corsa difficile (nel 2024, ha chiuso in 30ª posizione, ndr). E per me, è stato un motivo in più per dire: “Devo riuscirci l’anno prossimo, devo essere più forte e ancora più motivata per poter salire sul podio”. Ho continuato perché è la Roubaix. E alla Roubaix non si molla mai».