Una settimana schifosa, una corsa anche peggio. Piove. S’è messo pure a far freddo e il gomito rotto le fa un male cane quando si alza sui pedali e prova a saltare lo strappo. Annemiek Van Vleuten non è una che si piange addosso, ma quando l’altro giorno è caduta al via della cronosquadre e si è rotta il gomito, ha sentito attorno un alone di negatività.
Gregaria di Marianne
Ha trovato la via d’uscita convertendosi in gregaria per Marianne Vos. La figuraccia dello scorso anno andava lavata con una superba prestazione di squadra. Così l’ha riportata sotto al penultimo giro quando l’altra s’è staccata. E poi l’ha vista sparire alle spalle nell’ultimo giro, quando ha capito di non poterci fare più niente. La corsa sta finendo e l’olandese sa che in volata non potrà sorreggere con quel braccio malconcio la potenza delle gambe. E allora fa la sola cosa che le passa per la testa: attacca!
«Non ho avuto un solo secondo da mercoledì – racconta – per pensare o sognare a un mondiale diverso da quello da gregaria. Era tutto andato. Le seguivo in salita, avrei voluto accelerare come sempre, ma non potevo. Degli amici mi hanno detto di godermi la corsa, ma non c’è niente di divertente nel dolore che sentivo. Ci sono stati anni in cui ero la più forte della squadra, ma non era questo il giorno…».
Gruppo compatto
Mancano 1.300 metri e finalmente l’inseguimento fra i due gruppi di testa è finito. C’è voluta una vita, perché nessuna davanti si sentiva sicura di come sarebbe finita rimescolando le carte. Per noi ci sono due azzurre, Persico e la Longo. E mentre siamo lì a chiederci se siano riuscite a parlarsi, un’ombra bianca schizza a doppia velocità sulla destra. Mette la freccia e se ne va. Come Saronni a Goodwood. Come un folletto o un missile.
«Non pensavo a niente – racconta Van Vleuten e fissa il vuoto con i suoi occhi azzurri – se non a spingere a tutta, pensando che mi avrebbero ripresa con lo sprint. Non ci credevo neanche io. Avevo corso per tutto il giorno da gregario, pensando che stasera avrei detto ciao a Wollongong. Invece me ne vado con la maglia iridata e all’arrivo c’è voluto un po’ di tempo per capirlo. E’ la più bella di tutte. Non ho parole. E’ stato un flash, un’ispirazione. Non sentivo più dolore, non sentivo niente…».
La vittoria più bella
Dietro si organizzano, perché manca tanto ed è impossibile che arrivi da sola con tante ragazze veloci alle spalle. Eppure lei non si volta e spinge, mettendo nelle gambe l’amarezza di questi giorni. Massimo rapporto, il braccio rotto che tira e poi si vedrà. Basterebbe che si girasse e forse la prenderebbero, ma lei guarda fisso e la riga è sotto le ruote.
«Questa è la mia vittoria più bella – dice – un’altra maglia iridata dopo che il Covid mi ha rovinato quella del 2019. Questa volta conto di godermela in ogni corsa. Dire come faccia a resistere alla sfortuna che ho spesso in maglia arancione (quella della nazionale, ndr) è un bel viaggio nella mia testa. Provo a non essere negativa. Quando ho rotto il gomito, ho pensato che avrei comunque potuto correre in aiuto della squadra. Mi piace lo spirito che abbiamo costruito questa volta. Cerco di non sprofondare. In tutti i brutti momenti della mia carriera, ho sempre guardato avanti. E’ una abilità che evidentemente ho messo a punto…».
Un anno pazzesco
Quando si allontana verso il controllo medico, ha ancora la stessa espressione incredula che aveva sotto il traguardo. Molto più che alla Liegi, al Giro d’Italia, al Tour de France o alla Vuelta. Ha vinto il mondiale e il suo attacco nel finale è stato un vero capolavoro, un colpo di genio mentre tutte le altre si concentravano sulla volata. Le ha svegliate come le dita nella presa, ma prima che reagissero lei era già lontana. Da italiani avevamo altre ambizioni e il bronzo di Silvia Persico è un’altra storia da raccontare. Ma davanti a una vittoria come questa e anche se piove, siamo tutti qui a toglierci il cappello.