Barbara Malcotti inizia a farsi notare nel ciclismo che conta. La 22enne trentina, approdata quest’anno nel team americano Human Powered Health, già prima degli Europei di categoria disputati nel fine settimana in Portogallo aveva fatto vedere di essere in decisa crescita di condizione, al punto di centrare la Top 10 nelle classifiche delle giovani in ben tre gare a tappe: Itzulia Women (quarta), Vuelta a Burgos (quinta) e Belgium Tour (decima). La cosa non è sfuggita al cittì Sangalli, che l’ha convocata in nazionale e la Malcotti ha fatto in pieno il suo dovere, lavorando per le compagne, proteggendo la fuga del gruppo con Guazzini e Zanardi e finendo comunque onorevolmente 18esima a 50”.
Per la Malcotti questi risultati contano molto, perché i suoi inizi nel team a stelle e strisce non erano stati semplici: «Diciamolo pure, è stato un inizio tragico, non trovavo mai il bandolo della matassa, poi pian piano il grande lavoro è venuto fuori. Questi risultati non mi hanno sorpresa, anzi se devo dir la verità io volevo almeno qualche podio, ma so che davanti il livello è altissimo. Sto comunque dimostrando che a quel livello ci so stare bene».
Che cosa dicono nel team?
Ho trovato un ambiente ideale, perché non mi mettono alcuna pressione e valutano il fatto che sono molto giovane, ma dall’altra parte so che si aspettano molto. D’altronde sono io che mi metto molta pressione perché voglio assolutamente arrivare dove mi prefiggo, voglio il 100 per cento dalla mia attività e togliermi qualche bella soddisfazione.
Quella di Anadia era la tua prima convocazione in azzurro?
No, ero già stata a Innsbruck nel 2018 quando finii ai piedi del podio ai mondiali junior e 12esima lo scorso anno agli europei a Trento. Io quando sento la maglia azzurra addosso riesco a tirar fuori il massimo, ci tengo particolarmente a onorarla.
Torniamo alla tua scelta di correre all’estero: te ne sei mai pentita?
Assolutamente no, mi accorgo che in questi pochi mesi già qualcosa è cambiato. La mentalità è diversa, anche in una squadra che non è al massimo livello, l’impostazione resta quella di una formazione WorldTour e infatti il calendario è di grande livello, con prove WorldTour o comunque dove ci si confronta con cicliste di quella categoria. Se vuoi fare il salto di qualità, andare all’estero ormai è una scelta obbligata.
Che comporta anche sacrifici…
Sì, ma devi metterlo in conto. Io sono a casa 4 giorni per mese, tra febbraio e aprile tra ritiri e gare è stato un viaggio continuo. Oltretutto mi sono ritrovata a fare gare che non avevo messo in programma perché nel team ci sono state molte defezioni per covid, così mi sono ritrovata a fare una “full immersion”, anche in quasi tutte le classiche. Sono esperienze che servono per capire come prepararle, spero di avere altre occasioni simili.
L’andamento della tua stagione dice però che nelle corse a tappe ti trovi più a tuo agio.
Sono come un diesel, miglioro con il passare dei giorni. Nelle classiche non ero in forma, ma dovevo farle. Un po’ meglio mi sono sentita gareggiando in Spagna e man mano la situazione è andata sempre migliorando. Il team mi ha inserito nel roster sia del Tour che della Vuelta, saranno test molto importanti per il mio futuro.
Con che spirito ti avvicini alla prima edizione del Tour de France?
E’ una grande scommessa, è la gara più importante e so già che sarà un’esperienza indimenticabile. Ammetto di essere un po’ preoccupata perché mi hanno detto che alcune tappe saranno molto lunghe e molto dure, soprattutto quella di 180 chilometri, una distanza alla quale non siamo abituate e l’esperienza dell’ultimo Giro d’Italia conferma un po’ i miei timori, soprattutto dice che anche le tappe piane non vanno prese sottogamba, puoi perdere minuti per piccoli dettagli. Vedremo quel che avverrà.
Sai già quale sarà l’impostazione del team?
Credo che correremo soprattutto pensando alle singole tappe, a cercare di entrare nelle fughe, con un paio di elementi che terranno d’occhio la classifica, soprattutto la nuova ragazza arrivata a giugno, la cipriota Antri Christoforou della quale si dice un gran bene (ha vinto la Classique Morbihan ed è finita ai piedi del podio ai Mediterranei, ndr).
Mettiamo un attimo da parte il ciclismo: che cosa significa per una ragazza di 22 anni vivere una simile esperienza all’estero?
E’ qualcosa che ti forma, ti accresce anche culturalmente potendo confrontarsi con ragazze di ogni parte del mondo. Il team è davvero professionale e non fa mancare nulla. Ammetto che a volte ci sono momenti e situazioni nelle quali bisogna adattarsi proprio perché ci si confronta con pensieri e culture diverse, ma ne vale la pena.
Non hai mai un po’ di rimpianto per la Valcar?
Rimpianto no, mi trovo bene dove sono, ma non nascondo che a volte penso a loro. D’altro canto sono i risultati a dirlo, si lavora davvero bene in quel gruppo, lo ammiro molto e se la squadra è ai primi posti del ranking, qualcosa vorrà pur dire.
Ti sei prefissa un obiettivo in Francia?
Vedremo come si metterà la corsa, ma lo ammetto, punto alla Top 3 nella classifica delle giovani. Sono matura per quel traguardo…