La sesta tappa del Giro d’Italia Ciclocross è stata un vero successo. A Ferentino tanti partecipanti, tanto sole e, come lo stesso GIC ha titolato, “finalmente anche tanto fango”, elemento che da sempre caratterizza questa particolare e accattivante disciplina.
Mentre sul palco scorreva la premiazione delle donne, con Francesca Baroni reginetta del podio, riuscivamo a catturare un indaffaratissimo Fausto Scotti, tecnico azzurro del ciclocross. Con lui si è parlato soprattutto di gruppo e poco dei singoli nomi.
Fausto, un grande successo: sia oggi che in generale del GIC…
Siamo molto contenti del Giro ma anche delle gare nel Lazio, siamo riusciti a farne molte con il Lazio Cross. Cerchiamo di tenere in piedi la specialità per far gareggiare i nostri atleti. In gran parte del mondo non è possibile farlo, a parte gli elite, e credo sia importante per società ed atleti stessi. Mettere su gli eventi dà grandi possibilità, tanto più quest’anno con percorso ben diversi.
Cosa intendi per percorsi diversi?
In generale ci sono stati tracciati abbastanza veloci, ma c’è stata anche la sabbia da evitare correndo a piedi. E oggi c’è stato molto molto fango. La differenza la si faceva correndo e nei tratti tecnici. Vedere 160 allievi, che sono atleti polivalenti con tanti biker e stradisti, vuol dire che le società hanno capito che questa disciplina può dare loro l’opportunità di guidare meglio su strada.
Il covid ha complicato la vita degli organizzatori, ma sembra aver rinvigorito la partecipazione. Forse c’è più voglia di correre?
I numeri del GIC sono stati sempre questi, tra 600-800 partenti. Quest’anno sono cresciute le categorie amatoriali e gli allievi. Di solito, questi ultimi partivano in 150 e poi andavano a scemare. Quest’anno invece sono sempre la categoria che registra i numeri maggiori. Ed è importante perché è la base del futuro.
Parlando dei grandi, pensando ad Ostenda: cosa ti aspetti? Che nazionali t’immagini?
Intanto speriamo di parteciparvi e di fare le prove di Coppa. E’ stata nuovamente “segata” la tappa di Namur. Hanno tolto le categorie U23 e juniores e quindi non andremo lassù. Ma non perché non correranno queste categorie, ma perché gli hotel prenotati (e nei dintorni) sono chiusi, non sappiamo come fare per la ristorazione e al ritorno in Italia bisogna fare il tampone in aeroporto. Troppo alto il rischio. Se succede qualcosa tutta la squadra deve restare in quarantena. E allora stiamo pensando ad un ritiro con la nazionale. Anche perché sotto il periodo di Natale ci saranno molte gare e sarebbe un peccato saltarle. I nostri ragazzi sono avvantaggiati perché rispetto ad altre Nazioni stanno gareggiando. Francia ed altri Paesi, come ripeto, fanno attività solo con gli elite.
Hai un’idea di dove fare questo ritiro?
Stiamo valutando in base anche alla chiusura delle scuole. E poi dobbiamo capire come allestirlo. Perché 72 ore prima del raduno bisogna fare il tampone e poi si può entrare nelle “bolla”. L’hotel sarebbe solo per gli atleti e lo staff. Con la struttura tecnico-sanitaria della Federciclismo cerchiamo di capire se siamo in condizione di realizzare tutto ciò. Altrimenti li lasceremo correre nelle gare che ci sono in Italia e faremo la selezione tramite queste. Dopo il 17 gennaio faremo le convocazioni.
Francesca Baroni, ora sul podio, ha vinto anche oggi (ieri per chi legge, ndr): per lei c’è già una maglia azzurra?
Lei ha fatto una buona gara, ma anche Gaia Realini, secondo anno U23, ha mostrato di difendersi bene. Francesca è molto più matura, specie su questi percorsi così difficili. Gaia ha corso benissimo è stata a ruota ed ha imparato molto. C’è un bel bagaglio di atleti che sta crescendo bene anche tra le juniores. A livello internazionale siamo la prima Nazione al mondo con più praticanti donne. Poi però dobbiamo sempre fare i conti con le altre specialità. Logicamente quando iniziano ad andare forte per davvero le portano via la strada o la Mtb e il cross va un po’ in sordina.
Perché?
Perché non è una disciplina olimpica. Io spero che, con gli sforzi che stiamo facendo, riusciremo a portare il cross alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, almeno a livello dimostrativo. E magari entrare ufficialmente nel programma a cinque cerchi nelle Olimpiadi invernali successive.
Hai parlato dei ragazzi che si applicano in più discipline. L’imput arrivato da Cassani qualche anno fa che insisteva sulla multidisciplinarietà ha fatto effetto. Tra voi tecnici azzurri c’è scambio d’informazioni? Collaborate?
Io lavoro molto bene con Rino De Candido (tecnico degli juniores, ndr) e Dino Salvoldi (tecnico delle donne, ndr), con loro c’è molto scambio di atleti. So quando è il momento di poterli prendere e quando no. Se poi ci sono Olimpiadi e mondiali in vista è chiaro che le attività principali vanno riviste.
Quel è l’ossatura degli uomini elite?
Abbiamo sempre avuto dei grandi atleti. Il problema maggiore è che tutti guardano al domani. Io dico che a volte bisognerebbe guardare anche all’oggi. Pensare alle Olimpiadi, che poi non ci sono state, ha fatto trascurare il cross a molti atleti. In tanti, e mi riferisco ai biker, hanno pensato solo alla Mtb. Tra incidenti vari e un calendario pressoché inesistente ecco che non hanno fatto né l’uno, né l’altro. Quest’anno, sembra, abbiano capito che il cross è una buona “palestra” di allenamento, tanto più per quel che non hanno fatto questa estate.