Cervia, piazza Andrea Costa, Gabriele Uboldi si tiene distanza di sicurezza dalla transenna, ma accetta di fare due parole. In questi tempi, la bolla è sacra e non si scherza. L’uomo ombra di Peter Sagan, colui che meglio di altri ne riconosce gli umori, ha la faccia perplessa. La tappa di Monselice è di quelle che Peter potrebbe vincere agevolmente, ma è come se quel campione imbattibile e guascone avesse ceduto il posto a una controfigura non sempre così efficiente.
«Se scende dal bus con lo spirito del guerriero – dice sorridendo Uboldi, detto “Ubo”, nell’area riservata alla Bora-Hansgrohe – allora può vincere Ma se scende normale, lo staccano».
Il guerriero lo abbiamo visto qualche giorno fa sul traguardo di Tortoreto, 461 giorni dopo la sua ultima vittoria. Ci teneva a vincere e in quella giornata fradicia e fredda ha trovato la cattiveria che forse gli era mancata fino a quel momento.
«Quella mattina – sorride Uboldi – non avrei scommesso due euro sulla vittoria. Uno così in realtà è guerriero sempre, perché tutti questi secondi posti non li ottieni se non sei guerriero. Ma di certo quella tappa non l’aveva cerchiata, non c’era niente di preparato. E’ andato lui a sensazioni».
Era nervoso?
Al contrario, era tranquillo, perché ci ha provato talmente tanto e la vittoria non arrivava. Si è messo in modalità fatalista. Non c’era lo stress della vittoria, c’era semmai la voglia di rendere qualcosa al team che, soprattutto qui al Giro, sta lavorando tanto per lui. E poi c’era la voglia di zittire qualche giornalista che è stato un po’ troppo duro, ma quando sei Peter si aspettano sempre tanto. E’ stata una vittoria bella per come è venuta e non aspettata con ansia.
Davvero senza stress?
Lui resta sempre tranquillo, come quando ha vinto tre mondiali di seguito e poi ha fatto trenta secondi posti. Peter è uguale. Sicuro è contento.
Che brindisi è stato?
Un po’ meno rumoroso di tanti altri, perché quella sera era il compleanno di Konrad e abbiamo preferito lasciare spazio a lui. E poi la verità è che i ragazzi erano molto stanchi, anche Peter. Dopo la tappa era un bel po’ cotto. Quindi no, non è stato un brindisi o una grande festa. Ma devo dirti che da quando sono con Peter grandi feste non le abbiamo mai fatte.
Da quanto sei con lui?
Da sette anni
Lo hai visto cambiare in questi anni?
E’ cambiato tanto. Penso che sia successo con l’arrivo del figlio, più che con le vittorie e le gare. Da quando è arrivato Marlon, Peter è un po’ più maturo. Ha trovato una dimensione stabile. Tutto il tempo libero che ha, che non è tantissimo, lo passa con lui.
La partecipazione al Giro è mai stata in dubbio?
Era scontato al 100 per cento che lo facesse. La sua preparazione è sempre stata fatta senza un picco al Tour, ma per arrivare bene al Tour e poi anche al Giro bene. Si è lavorato per arrivare bene in entrambe.
Dopo il Giro, fine stagione. E poi?
E poi c’è un ritiro con il team di 15-20 giorni a dicembre come sempre e per adesso basta. Qualche passaggio con gli sponsor, al massimo. Non si viaggerà negli stati Uniti, si evita il viaggio lungo. Si faranno le stesse cose con gli sponsor di laggiù, che per una volta verranno di qua.
Un salto in Slovacchia?
La sua idea era di andare qualche giorno a trovare i genitori e la sorella che vede poco. Però adesso la Slovacchia sta mettendo delle regole ferree e dovremo vedere. Se può andare senza fare quarantena, parte, altrimenti resta qua.
Parla mai di ritiro?
No, a volte si lamenta di questo sport, che è duro, che non funziona. Ma ancora il fine carriera non si vede. E adesso andiamo a vedere con che spirito andrà alla partenza. Con lui ogni giorno è una scoperta.