Jay Hindley e Umbertone, ma non è il titolo di un film. L’australiano vincitore della tappa ai Laghi di Cancano arrivò a Cappelle sul Tavo alla vigilia della stagione 2015. Un australiano che vive in Italia, tale Robert Petersen grossista nel campo della sanitaria, parlò di lui con Umberto Di Giuseppe, 73 anni, figura di riferimento del ciclismo abruzzese e tecnico della Aran Cucine.
Umbertone, così lo chiamano da sempre. Anche se da quando il cuore gli ha mandato l’ultimo avviso, il punto vita si è sfinato e si potrebbe tornare a chiamarlo Umberto. Quella che non è mai cambiata invece è l’inconfondibile voce roca, che ha incitato, sgridato, motivato, blandito e punzecchiato generazioni di corridori. Un uomo grande e buono che non ha famiglia e per questo ha sempre considerato i corridori come figli. Masciarelli padre e figli. Rabottini padre e figlio. Caruso che prese l’argento ai mondiali giapponesi del 1990. E di recente Einer Rubio, vincitore del tappone del Passo Fedaia al Giro d’Italia U23 dello scorso anno e ora pro’ con la Movistar.
Immaginare il giovane australiano con il burbero abruzzese strappa il sorriso e allora lo abbiamo chiamato per farci raccontare la storia di Jay Hindley in Abruzzo.
In che modo arrivò Hindley?
C’era questo signore australiano. Me ne parlò e me lo propose. Io ero sempre in contatto con Shayne Bannan, che è stato manager della nazionale e poi della Mitchelton-Scott. Anche lui ha corso per me. Tre anni assieme a Mike Turtur, che ora organizza il Tour Down Under. E d’accordo con Shayne creammo un programma per Jay.
Dove andò a vivere?
Abitava a casa mia. E si vide subito che non era un perditempo. Sapeva il fatto suo e sapeva anche fare la vita. A me piaceva andare spesso al ristorante e invece certe volte si imputava e diceva che avremmo mangiato a casa. E si metteva a cucinare.
Perdona la curiosità: in che lingua parlavate?
Ieri sera Luciano Rabottini, che conduce un programma sul ciclismo in una televisione privata, TvSei, ha fatto rivedere un’intervista. E c’è Jay che diceva: «Io non parlo italiano, parlo l’Umbertano». E mi faceva il verso, imitando anche la voce rauca.
Quindi Hindley è stato per un anno a casa tua?
Una stagione intera, poi siamo rimasti sempre in contatto. Sia quando è venuto con la nazionale, poi con la squadra continental nella quale passò. Lui voleva diventare subito professionista, ma Shayne gli disse di fare prima un anno nella continental e poi l’avrebbe messo alla Scott. In realtà lui ha fatto uno stage con la Mitchelton e poi si è trovato il posto alla Sunweb.
Sa cucinare sul serio?
Le cose base sa farle. Jay non mangia pesce e così, quando tornavamo dalle corse e andavamo al ristorante, mentre gli altri ordinavano pesce, lui chiedeva la chitarra teramana: degli spaghettini sottili di cui era molto goloso. E così il padrone del ristorante gli preparava non una sola porzione, ma due piatti abbondanti che lui mangiava con gusto.
Quando l’hai visto per l’ultima volta?
Sono andato da lui a San Benedetto del Tronto, alla Tirreno-Adriatico, e gli ho chiesto come stesse. Lui ha risposto che stava bene, ma sorridendo ha aggiunto che come si mangiava alla Aran… Allora gli ho fatto vedere una foto e lui si è ricordato il nome di Adolfo, il titolare del ristorante.
Si vedeva che fosse forte?
Era evidente. Il giorno prima del tappone del Giro d’Italia U23 a Campo Imperatore, nel 2017, gli ho detto che avrebbe vinto e così andò. Primo lui e secondo il compagno Hamilton. Nel 2015 ha fatto Capodarco e arrivò 26°. Mi guardò e disse che l’anno dopo l’avrebbe vinto. E così fece. Per me è un corridore vero.
Come si inserì a casa tua?
Si è fatto voler bene. E’ un ragazzo in gamba. Mi prendono in giro che mi sono innamorato, ma quando vedi che un ragazzo è educato e gentile e ha le qualità…
Ma questo Hindley non ha proprio difetti?
Gli dicevo che in corsa lavora troppo. Non è di quelli che sfrutta il lavoro degli altri. Al primo Giro delle Marche, appena arrivato, cominciò subito a lottare per il gran premio della montagna. E io gli dicevo di calmarsi. I risultati che ottiene se li guadagna, non sfrutta il lavoro degli altri. Conoscendolo, ieri gli sarà costato non dare cambi a Geoghegan Hart.
E’ stato corretto…
Qualcuno dice che hanno sbagliato a non tenerlo con il leader, ma dopo quello che ha fatto a Piancavallo non possono esserci dubbi sulla sua lealtà. Poteva vincere benissimo e prendere dei minuti.
In Abruzzo lo ricordano ancora?
Il giorno di Roccaraso gli abbiamo messo gli striscioni in un paesino prima dell’arrivo e il telecronista ha detto che erano arrivati i tifosi dall’Australia. A Montesilvano abbiamo messo un cartello con la sua fotografia. Quel giorno è partito all’ultimo chilometro e ha guadagnato su Nibali. E’ uno che lavora.
Perché adesso puntate sui colombiani?
Non è facile fare la squadra nel Centro Sud, soltanto per i viaggi si spende una fortuna. L’anno scorso volevamo vincere il Giro dei dilettanti e per farlo abbiamo preso Rubio. Abbiamo fatto l’unione con Donato Polvere e la Vejus, ma siamo sempre una squadra abruzzese. Anche se in televisione la raccontano sempre in modo diverso. Con Rubio il Giro lo abbiamo sfiorato, ma chissà che a questo punto non si vinca prima il Giro dei grandi con quel piccolo australiano…