«Bastien chi?». Molti si guardavano in faccia con occhi interrogativi, mentre Bastien Tronchon saltava il favoritissimo Pavel Sivakov per andare a vincere la terza tappa della Vuelta a Burgos a Villarcayo. Perché il francese è uno stagista, attualmente promosso nella prima squadra dell’AG2R Citroen. E vedere un ragazzino inserito fra i grandi che va addirittura a vincere è cosa rarissima, l’ultimo francese a esserci riuscito era stato Jean-Eudes Demaret, al Tour du Poitou Charentes del 2007, per la Française des Jeux, in Italia c’era riuscito Riccardo Riccò nel 2005, una tappa al Giro di Toscana. Oppure Battaglin nel 2011 alla Coppa Sabatini.
Sorpresa? Sì, ma poi, a ben guardare, neanche poi tanto. Conoscendo la storia di Tronchon, ci si accorge che stiamo parlando di un predestinato. In fin dei conti è nato a Chambery che per la Francia è quasi un tempio del ciclismo, teatro anche di rassegne mondiali e proprio a Chambery ha iniziato la sua avventura approdando a La Motte Servolex, squadra locale che è anche una delle tante diramazioni dell’AG2R. Il suo destino era segnato e infatti ha seguito tutta la trafila nella formazione transalpina, arrivando agli under 23 e, per la gara spagnola, anche in prima squadra.
In fuga per Champoussin
«Non so che dire, mi sento come se galleggiassi su una nuvola…». Faceva fatica a realizzare quel che aveva fatto sulle strade spagnole, Tronchon, ma poi parlando con i giornalisti ha rivissuto la sua magica giornata, l’ultima, non l’unica e poi vedremo il perché.
«Volevo fortemente dare il là a una fuga – diceva – per rappresentare il mio team là davanti e essere un riferimento per Champoussin se avesse voluto provare l’offensiva. All’attacco del Picon Blanco gli altri hanno iniziato a scattare, io sono andato avanti con la mia andatura e ho fatto bene, ho salvato la gamba e mi sono ritrovato alla fine davanti con l’iberico Nicolau, ma da dietro erano rinvenuti due mostri sacri come Pavel Sivakov e Miguel Angel Lopez. Ci si sente molto piccoli vedendo cosa hanno sotto i pedali, non avrei mai creduto di poter svettare con corridori simili.
«In discesa Sivakov volava, io gli ho lasciato spazio per scegliere le traiettorie giuste ma vedevo che stava andando via. Ho dovuto spingere, ho dovuto rischiare anche oltre. Sono rimasto alla sua ruota, mi chiedeva cambi ma se glieli avessi dati mi avrebbe staccato, il serbatoio era quasi vuoto… Ho seguito le istruzioni dell’ammiraglia, poi lui correva per la generale, io no… Quando siamo rimasti in due gli ho detto che avrei collaborato, ma ormai non si fidava. Io ero fiducioso nella mia punta di velocità e ho fatto bene».
Si riparte da una… gran fondo
Riavvolgiamo il nastro, perché questa vittoria, a ben guardare, è come un premio per una stagione tanto importante quanto difficile. Tronchon lo avevamo visto anche in Italia, vincere il Giro della Provincia di Biella per Under 23, ennesimo esponente di quel ciclismo transalpino giovanile che sta proponendo tanti talenti che vengono qui a vincere ed evidenziare le nostre parallele difficoltà. Poi però, il 15 maggio, la mazzata: una terribile caduta alla seconda tappa del Tour du Loiret. I primi responsi sono terribili: tripla frattura della clavicola e fratture sparse a gomito, polso e scapola. Poi le radiografie lo graziano: la clavicola è danneggiata come si prospettava, ma il resto è intatto.
La ripresa è graduale e per il ritorno Tronchon sceglie una gara particolare, o meglio una gran fondo. Ma che gran fondo: L’Etape du Tour, 170 chilometri per 4.700 metri di dislivello con le scalate del Galibier, della Croix de Fer e, tanto per gradire, ascesa e arrivo all’Alpe d’Huez. Tronchon, di fronte a tanta magnificenza, si era esaltato, confuso in mezzo a oltre 11 mila ciclisti, fra cui anche molti elite come lui dispersi nella massa. L’entusiasmo l’aveva contagiato a tal punto che sul Galibier ha scollinato in testa con un paio di minuti di vantaggio: «Non mi ero accorto di come stavo andando, ma poi ho capito che stavo esagerando. E chi li aveva mai fatti tanti chilometri…».
Lavenu se lo sentiva…
Gli altri sono rinvenuti, ma comunque Tronchon ha chiuso tra i primi 15. Lì comunque l’ordine di arrivo era un mero dettaglio: «Mi sono divertito un mondo, è stato uno dei più grandi giorni della mia vita ciclistica, tanto che non me la sono presa neanche per quel che è successo dopo».
Tronchon voleva condividere la sua gioia con i genitori, ma la discesa dall’arrivo era interdetta: «Così mi sono ritrovato a dover scalare anche il Col de la Sarenne per arrivare dall’altra parte, fare il giro e raggiungerli. Ho capito in quei frangenti, mentre pedalavo, di quanto siamo fortunati a militare in squadre che pensano a tutto e quanto sia difficile il lavoro degli staff, che devono predisporre ogni cosa per farci pensare solo a pedalare».
Anche questa umiltà, questa consapevolezza fanno di Tronchon un prospetto di grande avvenire. Gilbert Lavenu lo sa da tempo ed era davvero il meno sorpreso in quel di Villarcayo: «Lo conosco da quando era piccolo, nella società satellite di Chambery. Sapevo che quando era davanti poteva farcela perché è uno che sa come si vince e lo ha già dimostrato. La sua prova è un ottimo esempio da seguire».
Infatti il giorno dopo, vittoria per lo sloveno Govekar, stagista alla Bahrain Victorious davanti al compagno di colori di Tronchon, Retailleu (quello che si era preso il bronzo a Orano). Alla faccia dei big…