I suoi balletti spopolano su Instagram e TikTok. Le sue pedalate sulle pietre della Roubaix. Alison Jackson (in apertura foto Gruger Images) è davvero una ragazza tutto pepe, gioia e forza. Anche in conferenza stampa, la scorsa settimana ha tenuto un piccolo show, ribattendo alle domande con tono squillante e decise espressioni del volto, proprio come chi non si nasconde e replica con sincerità. Certamente è un personaggio diverso. Piacevole. Innovativo.
Avevamo scritto che pochi istanti dopo aver tagliato il traguardo l’atleta della EF Education-Tibco era a terra. E continuava a ripetersi che non ci credeva. In realtà prima di lasciarsi cadere sull’erba sintetica del velodromo, Alison aveva regalato al pubblico uno dei suoi celebri balletti. E il ballo è qualcosa che risale alla sua gioventù ed è parte integrante della sua vita.


Bisonti, danza e bici
Chi è dunque questa ragazza dalle gambe potenti, la pedalata magari non elegantissima ma molto efficace?
E’ Alison Jackson, classe 1988, dell’Alberta, Canada centrale, tra praterie e foreste. Otto stagioni da professionista alle spalle e poche ma importanti vittorie. Su tutte appunto la Parigi-Roubaix Femmes di sabato scorso, che lei ha definito come: «La vittoria più importante della mia carriera».
Alison è nata e cresciuta in una fattoria di bisonti a est di Edmonton in un paese di provincia, Vermilion. Inizialmente era un’eccellente mezzofondista con ottimi tempi sui 1.500 e i 3.000 metri. La sua prima bici l’ha avuta solo a 19 anni. Ed è lì che è iniziata la sua avventura col ciclismo. L’obiettivo però erano le gare di triathlon. Alison ne ha fatte molte partecipando anche ai mondiali dilettanti. Jackson ottiene una borsa di studio e dopo essersi laureata alla Trinity Western University decide di passare al ciclismo.
La sua potenza si è formata anche altrove. Spesso raccoglieva dei sassi dai campi un po’ per farne una collezione e un po’ per pulirli “facendo un favore ai contadini”. Vedendo tanta energia, i suoi genitori l’hanno iscritta a corsi di danza e diversi sport. E proprio la sua maestra di danza è stata fonte di grande ispirazione per Alison. Se è così determinata e vede il ciclismo come una sfida che va oltre lo sforzo delle gambe è anche merito di questo “passaggio” della sua vita.






Un po’ d’Italia
«Ho capito che la bici era la mia vera strada – aveva detto in una precedente intervista Jackson – e così quando all’università ho ottenuto una borsa di studio per le lunghe distanze nello sport, mi sono dedicata a questo sport».
Jackson si è guadagnata la via del professionismo iniziando a piazzarsi molto spesso tra le prime dieci in gare nordamericane. Da lì nel 2015 è arrivato il primo contratto da pro’ con la Twenty 16, piccola squadra statunitense. Poi è approdata persino da noi, in Italia, alla BePink Cogeas, dove è rimasta per una sola stagione prima di passare al Team TIBCO, che poi per gran parte è lo stesso gruppo in cui è oggi. Nel frattempo è stata anche due stagioni nel Team Liv.


Idee chiare
Alison è una ragazza che parla senza mezzi termini. Non è stata mai banale in quei 20′ di press conference.
«Noi donne – ha detto la Jackson in conferenza stampa a Roubaix – lottiamo molto per i diritti e la parità di genere. Per anni è stato chiesto a questa competizione di avere una gara femminile e ed essere riuscite ad averla è già questo un successo.
«La Roubaix è una gara dura, nella quale soffre molto l’atleta e anche i materiali. Per vincere serve intelligenza, tempismo, forza e un po’ di fortuna. E anche noi cicliste dobbiamo essere dure. Sono otto anni che lavoro per vincere grandi gare e finalmente ci sono riuscita. Del ciclismo mi piace anche la tattica, perché non sempre vince solo la più forte».
Un carattere coriaceo dunque, che anche in famiglia hanno confermato. Sua mamma Mavis, intervistata da un giornale locale, ha detto che sin da bambina Alison aveva un carattere deciso e un grande istinto competitivo.


Cuore oltre l’ostacolo
«La corsa? Siamo state inseguite praticamente per tutta la gara – ha raccontato Jackson – e soprattutto nel finale. Credo che solo quattro di noi stavano effettivamente lavorando nel gruppo di testa. Quando siamo entrate nel velodromo è successo tutto abbastanza velocemente.
«Io ero in seconda posizione e ho iniziato il mio sprint a circa 300 metri. Quando una ragazza mi ha affiancato e sono riuscita a sfruttarla come scia e ad andare un po’ più in alto sulla pista e ho avuto le gambe per scappare via di nuovo».
Jakson si è mostrata combattente. E la descrizione dello sprint denota anche una certa intelligenza (e freschezza) tattica. Cosa non scontata per chi non pratica ciclismo sin da bambino o bambina che sia.
«La mia fuga era programmata – ha proseguito la canadese – tanto più dopo i miei incidenti (il riferimento era alla gara di Drenthe dove ha riportato un taglio al ginocchio che la ha procurato 4 punti di sutura, ndr) volevo evitare lotte e carneficina e si sa che stare davanti in queste gare è meglio. In gruppi ristretti tutto è un po’ più facile».


Tanti obiettivi ancora
Jackson ha corso la Freccia del Brabante, arrivando in gruppo. E oggi sarà impegnata all’Amstel Gold Race. Dopo la corsa della birra, la sua stagione proseguirà in America.
Tra pochi giorni, infatti, parteciperà ai Giochi Panamericani, poi tornerà in Europa per volare di nuovo in Canada per i campionati nazionali, che guarda caso proprio quest’anno si terranno in Alberta nella “sua” Edmonton. Tutto sommato Vermilion dista “solo” 193 chilometri. Una bazzecola per quei territori.