«Marco mi diede gli occhiali, poi la bandana… e lo fece ai piedi della salita. Pensai: “Mamma mia questo vuol partire subito”. E io ero già a tutta». Roberto Conti ci porta subito dentro questa intervista che di fatto è un racconto. Domenica prossima il Tour de France torna ad affrontare la scalata di Plateau de Beille. Una salita che per noi italiani evoca un ricordo molto dolce: la vittoria di Marco Pantani nel 1998. Da qui la planata verso la mitica doppietta che oggi sta cercando di fare Tadej Pogacar.
Quel giorno ci fu l’inversione di rotta della Grande Boucle dominata fin lì da Jan Ullrich. Il gigante tedesco si presentò all’inizio dei Pirenei con 5’04” di vantaggio sul Pirata. Il quale era persino contento! Un’impresa folle lo attendeva. Un’impresa che però forse solo Marco pensava potesse tramutarsi in realtà.
Nella prima tappa di “mezzi Pirenei”, cioè con qualche salita nel finale, ma ideale per le fughe, Pantani scattò sul finire dell’ultima scalata e guadagnò una ventina di secondi sul tedesco. Il giorno dopo ci fu appunto la Luchon – Plateau de Beille. E con essa la foratura di Ullrich proprio all’imbocco della salita che quasi mandò i piani all’aria. Lo scatto del Pirata ma senza fare il vuoto all’inizio. E infine le sue braccia al cielo.
Roberto, cosa ricordi di quel giorno, di quella mattina al via?
Ricordo che alla partenza un compagno di Ullrich, Udo Bolts, venne da me e mi chiese: “Robi, ma siete qui per le tappe o per vincere il Tour?”. Io gli risposi per le tappe aggiungendo anche che quel giorno avremmo vinto. E lui ancora: “E allora perché ieri avete attaccato se c’era la fuga fuori?”. Io rimasi un po’ così e lui: “Robi non fregarmi!”. Ma in quel momento era la verità. Puntavamo alle tappe. Mentre Marco era veramente convinto di vincere quel Tour.
E voi?
Proprio vincere no, ma salire sul podio sì. Tra l’altro era qualcosa che già aveva fatto. In quel Tour, ma si potrebbe dire in quegli anni, c’erano delle crono lunghe e sappiamo come andava Ullirch contro il tempo. Oggettivamente sarebbe stato difficile. Quasi impossibile.
Come andò quella mattina? Cosa vi diceste nella riunione?
Fu tutto molto regolare. Se fosse andata via la fuga l’avremmo dovuta tenere vicino il più possibile. Al Tour se vanno via fughe che prendono 10′ poi si fa fatica a chiudere, anche se ti chiami Pogacar o Pantani. E così facemmo: tenemmo la fuga sempre a tiro e poi Marco fece il resto verso Plateau de Beille, la salita finale.
Come approcciaste la salita? Chi tirò?
Adesso non ricordo proprio bene tutto, sono passati tanti anni… purtroppo, ma ricordo che quel giorno tirai poco. Non ne avevo! Ricordo bene però che pochi metri dopo l’inizio della salita Marco stava per partire e io lo fermai. Gli dissi: “No, no… Marco, aspetta”. E lui: “Ma perché non posso?”. Gli dissi che Ullrich aveva forato e che sarebbe stato meglio aspettare. Poi sarebbe sorta una guerra di antipatie, di giochi, di polemiche. Tra l’altro sarebbe potuto succedere a lui la stessa cosa. “Quando rientra attacchi”, gli dissi.
E Marco?
Non disse niente. Si mise lì buono… E poi dopo il rientro di Ullrich, partì. Mancavano ben più di dieci chilometri.
Tu e i tuoi compagni cosa sapevate durante la scalata di quello che stava combinando Marco?
Sapevo che stava guadagnando sulla fuga e su Ullrich. Ed eravamo felici per la vittoria di tappa che stava per arrivare. Ma quel che ci stupì non fu tanto la scalata, quanto quello che ci disse Marco la sera in hotel: “Ragazzi, siamo qui per vincere il Tour”. Noi gli dicemmo in coro: “Magari”. Il Tour è il Tour e come detto c’era ancora una crono lunga e lui aveva pur sempre 3’01” di ritardo da Ullrich.
Lo vedesti subito dopo l’arrivo?
No, no… in hotel. Marco tra premiazioni e interviste arrivò parecchio dopo. In quei casi si andava nella camera del suo massaggiatore. Gli si facevano i complimenti e a cena scattavano i racconti. Dopo cena telefonata a casa e poi di nuovo nel giardino o nella hall a parlare della corsa, dei progetti, delle cose che non avevano funzionato o semplicemente a scherzare. E anche quella volta andò così.
I corridori scaleranno Plateau de Beille dopodomani: che salita troveranno?
Una tipica salita pirenaica. Ricordo che andava su con dei lunghi e ampi drittoni con qualche tornante di tanto in tanto. Era una salita che non lasciava molto respiro, sempre attorno all’8-9 per cento con qualche rampa un po’ più dura ogni tanto. E poi ricordo che non finiva mai!
Prima abbiamo parlato del vostro approccio della salita e invece Pantani come si comportò?
In corsa non parlava tanto. Era piuttosto taciturno. E fu così anche quel giorno. Gli portavi da bere, da mangiare e lui se ne stava lì. Quando stava bene era così: taciturno, era concentrato. Pensate che quando forò Ullirch noi, anche lui, eravamo tutti in fila indiana e Marco non se ne accorse tanto era sulle sue.
Roberto, dopo l’impresa di Plateau de Beille lui vi disse che voleva vincere il Tour, ma voi avevate la sensazione che il Tour avesse davvero preso un’altra piega?
Come detto, per vincere no. In classifica Marco era dietro… Ma sapendo dei suoi attacchi, dei suoi attacchi da lontano dentro di me pensavo: “Vuoi vedere che questo qui tira fuori il coniglio dal cilindro?”.