Ricordate l’incidente occorso a Francesco Galimberti al Giro di Romagna e tutto quello che ne seguì? A sei mesi di distanza il 23enne brianzolo della Biesse-Carrera ha annunciato il suo definitivo ritiro dal ciclismo per le gravi conseguenze di quello scontro.
Facciamo un rapido salto indietro allo scorso 21 aprile, giorno della classica romagnola in cui corrono professionisti e team continental. A Castrocaro Terme sfreccia e trionfa Morgado del UAE Team Emirates, mentre ad una manciata di secondi sta per arrivare un altro gruppetto di uomini in lizza per completare la top ten. A 250 metri dal traguardo, con lo sprint ristretto lanciato, una moto delle riprese televisive è ferma in un punto in cui non può e non deve stare. L’impatto è violento, Galimberti e Mikel Iturria della Euskadi non riescono ad evitarlo e finiscono all’ospedale con diverse fratture. E, purtroppo, con un amarissimo presentimento che fa più male delle stesse botte: quello di non poter più correre.
Sogno infranto
Siamo tornati sugli effetti generati da quell’episodio per capire gli stati d’animo attraversati da Galimberti in questi mesi. Vale la pena ricordare che ci sono in atto un paio di cause. Una penale contro ignoti, come vuole la prassi in casi simili, per stabilire l’entità del danno subito ed individuare il responsabile dell’accaduto, anche se la dinamica è inequivocabile. L’altra invece legale per determinare il risarcimento. Per un assurdo scherzo del destino il suo passaggio tra i pro’ si sarebbe materializzato proprio nei giorni in cui ha dato l’addio.
«Da allora ad oggi – racconta Galimberti – il mio avvocato sta lavorando a queste due pratiche, che non saranno certo brevi, anche per conto di Iturria visto che il suo avvocato spagnolo non può esercitare in Italia. Mikel aveva riportato le fratture di tibia, clavicola e soprattutto di vertebre rischiando di restare paralizzato. In seguito a questo incidente anche lui è stato costretto ad abbandonare l’attività. Tuttavia come mi diceva, lui ha 32 anni e la sua carriera tra i pro’ l’ha fatta per tanti anni, riuscendo a vincere una tappa alla Vuelta nel 2019 (unica sua affermazione, ndr). Invece io ho visto svanire in un attimo il sogno di una vita.
«Prima del Giro di Romagna – va avanti Francesco non senza farsi trasportare da una plausibile emozione – stavo molto bene. Avevo fatto un bel Giro d’Abruzzo in mezzo ai pro’ e qualche giorno dopo ho raccolto i frutti di quella condizione vincendo in solitaria il Gran Premio di Pontedera. Era anche la prima vittoria stagionale della Biesse-Carrera ed eravamo tutti felici. In quel periodo avevo già contatti avviati con Polti-Kometa e VF Group Bardiani CSF Faizanè, ma nessuna firma in pre-accordi o robe simili. Avevo una grande motivazione, tant’è che rispetto agli altri anni ero entrato in forma molto presto, che per uno scalatore come me era un gran bel segnale. Poi è successo quello che è successo e addio».
Dura da metabolizzare
Diventa tutto più difficile accettare la cruda realtà, specie se ti si presenta alla porta così, abbattendola. L’iter burocratico farà il suo corso, ma intanto Galimberti ha dovuto fare fronte all’aspetto psicologico, non solo alla convalescenza fisica.
«Nello scontro – spiega – mi ero rotto il femore in diversi punti. La frattura si era rinsaldata bene, ma aveva provocato una serie lesione al nervo sciatico che mi impossibilitava di tornare a salire in bici, non solo a correre. Ho fatto diverse visite e gli esiti sono stati chiari. Perché il nervo sciatico torni ad essere come prima occorre minimo un anno e mezzo fino ad un massimo di cinque. Avete presente cosa significhi questa tempistica nel ciclismo attuale? Sarebbe stato un periodo troppo lungo ed incompatibile con i ritmi di adesso. Voleva dire correre fino ad inizio 2026 per recuperare il terreno perso. Senza poi avere la certezza di poter passare pro’ o di altro in generale.
«E’ stato un colpo duro da assorbire – continua Galimberti – e l’ho superato solo parlando, pensando e piangendo tanto. La cosa che mi dà più fastidio è che io ho dovuto mettere fine alla mia carriera per un errore di chi fa quello di mestiere da tantissimi anni. In quel frangente ci stavamo giocando un ottavo posto di assoluto prestigio, almeno per me. Mi hanno detto che probabilmente quella moto non ha superato la linea del traguardo per non prendere 200 franchi svizzeri di multa dall’UCI. E poi guardate che guaio è venuto fuori. In gara c’erano grandi corridori come Morgado, Del Toro o Baroncini. Se fosse capitato a loro, cosa sarebbe successo nel frattempo ai responsabili? Mi spiace anche che finora nessuno abbia pensato di chiamarmi o mandare un messaggio per chiedermi scusa o semplicemente per parlarmi. Però guardo oltre adesso».
Nuova vita
Un vecchio adagio dice che quando si chiude una porta si apra un portone. Il ciclista per indole tende sempre a guardare il bicchiere mezzo pieno e forse Galimberti è già entrato nella fase successiva. E’ giovane e nel suo futuro c’è il ciclismo sotto altre forme.
«In queste ultime settimane – conclude – ho fatto un corso professionale di cento ore presso la Bicycle & Business Academy, un istituto di Bovisio Masciago per diventare meccanico di biciclette. Mi è sempre piaciuto e credo di avere un giusto colpo d’occhio o orecchio per vedere o sentire i vari problemi. Inizierò a lavorare presso Cicli Motta, un negozio storico di Biassono, che sta per cambiare gestione. Cercavano un dipendente per l’officina e mi hanno offerto subito un contratto. Sono contento perché mi serviva pensare ad altro. Contemporaneamente proseguirò anche gli studi universitari di ingegneria informatica, avendo più tempo per dare tutti gli esami. E chissà che un domani non possa vivere un’esperienza in una formazione professionistica. Al momento la mia idea è quella di restare nell’ambiente, anche se non nel modo in cui pensavo io».
Biesse-Carrera impeccabile
Nel tourbillon di questa vicenda, ne esce parte lesa anche la Biesse-Carrera. L’incidente al Giro di Romagna ha privato il team continental di uno dei suoi migliori corridori. Galimberti da quel giorno non ha più riattaccato il numero sulla schiena ed anche per i suoi tecnici non è stato un colpo facile.
«Abbiamo avuto un grave danno – analizza Dario Nicoletti, uno dei due diesse assieme a Marco Milesi – in termini tecnici e qualitativi. Francesco era maturato tanto ed era diventato consapevole dei propri mezzi. Era partito molto forte e dopo la vittoria a Pontedera sono certo che si sarebbe tolto altre soddisfazioni perché garantiva anche una continuità di rendimento veramente pazzesca».
Dopo il recupero, visto che correva Lorenzo il suo gemello, Francesco è stato coinvolto dalla sua squadra in alcune gare come accompagnatore, in cui dava i rifornimenti ai suoi compagni. Nicoletti sa che il suo ragazzo ha passato momenti duri e hanno cercato di aiutarlo come meglio potevano.
«Anzi, ci teniamo a dire che il nostro patron Bruno Bendoni ha avuto una sensibilità ed una correttezza uniche. Fino alla scadenza del contratto, ha garantito il pagamento dello stipendio a Francesco nonostante non fosse più tornato in bici. Sappiamo che non è sempre così scontato. Peccato che dopo questo incidente nessuna associazione di categoria o di corridori sia fatta sentire per dare il proprio sostegno o solidarietà».
La speranza è che questa storia, sia ora sia quando finirà il proprio percorso giuridico, insegni qualcosa di importante per il futuro, suggerendo comportamenti meno rischiosi a chi si muove in gruppo e regole (e sanzioni) più severe per chi continuasse con certi comportamenti.