Dumoulin, i giorni in cui iniziò a spegnersi la luce

05.01.2023
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E’ stato quando ha smesso di percepire il ciclismo come un viaggio nei suoi sogni di ragazzo che Tom Dumoulin ha deciso di dire basta. Una magia che sorprendentemente si è interrotta proprio con la vittoria al Giro d’Italia, quando gli sguardi attorno hanno cambiato luce. Almeno questo è ciò che l’olandese ha percepito e che inesorabilmente lo ha trascinato a fondo. Finché in un giorno dell’estate che lo avrebbe condotto all’ultima gara della carriera – la crono ai mondiali di Wollongong – Tom ha detto basta.

«Sono vivo, più vivo di qualche anno fa. Ero decisamente pronto a smettere, mi divertivo sempre meno a salire in bici e a pormi obiettivi altissimi. Il mio corpo si stava lentamente deteriorando, mi diceva basta. Ho deciso di ritirarmi ad agosto e da quel giorno mi sento molto felice».

Quello che la gente non vede

Il ciclismo è uno degli sport più estremi, richiede una dedizione totale. Come professionista, tutto ruota attorno al ciclismo. Ogni decisione che prendi, ogni ingrediente che mangi, ogni volta che vuoi vedere gli amici. Sono gli stessi concetti espressi da Pogacar: quanto puoi durare vivendo sempre al 100 per cento?

«Il ciclismo – ha spiegato Dumoulin a L’Equipe – richiede un lavoro che il pubblico non vede. Passi il 90 per cento del tuo tempo a fare sacrifici che negli ultimi anni sono diventati troppo importanti, soprattutto perché i momenti speciali stavano diventando sempre più rari. Fino al 2017 e alla vittoria al Giro, mi sono sentito totalmente sulla mia strada. Poi i tifosi, la squadra, le persone con cui ho lavorato hanno cominciato ad aspettarsi qualcosa da me. Mi percepivano in modo diverso. A poco a poco, non era più solo il mio progetto, ma quello di molte persone. E questo non mi è piaciuto, ho cominciato a perdere il controllo della mia carriera e gradualmente ho smesso di divertirmi».

L’amore degli italiani

Eppure proprio vincendo quel Giro del 2017 e poi la crono al mondiale di Bergen, l’olandese così elegante aveva conquistato anche il pubblico italiano. Era chiaro che l’anno dopo sarebbe stato lui il corridore più atteso. Vennero quattro secondi posti: al Giro dietro Froome, al Tour dietro Thomas, al mondiale crono (dietro Dennis) e della cronosquadre (dietro la Quick Step). Poi qualcosa si spense. Difficile dimenticare le brutte ore della caduta di Frascati nel 2019 che lo portarono al ritiro, alla rottura con il Team DSM e al conseguente passaggio alla Jumbo Visma.

«Ho vinto il Giro una volta – ha ricordato – e in Italia sono più popolare di altri vincitori, che non hanno ricevuto tanto amore. Questo è stato bellissimo, ma ho avuto sempre più difficoltà a superarlo. Mi ripetevo: questa è la mia strada, questo è il mio sogno. Volevo mostrare allo sponsor e alla squadra che stavo lavorando sodo. Prima del 2017, se un giorno non stavo bene, capitava che saltassi un allenamento. Dopo la vittoria del Giro, anche se sfinito pensavo che si aspettavano tanto da me e dopo poche settimane ci sarebbe stato il Tour de France. Pensavo troppo, perdevo freschezza e non riuscivo più a dare il massimo».

Un uomo normale

Per questo si fermò la prima volta. Un mese e mezzo senza toccare la bici, sapendo che sarebbero arrivate le Olimpiadi già compromesse nel 2016 per la frattura del polso nel finale del Tour. Arrivò a 47 secondi da Cancellara e secondo sarebbe arrivato a Tokyo dietro Roglic, dopo una preparazione svolta quasi di nascosto.

«Eppure allenandomi da solo – ha detto – sentii che mi piaceva ancora andare in bicicletta. Avrei continuato, eppure appena finirono le Olimpiadi, fu di nuovo difficile tenere lontani tutti i pensieri. Così ho deciso di essere onesto con me stesso: la mia vita non poteva più essere quella di un grande atleta. Così, complice il mal di schiena per cui ho dovuto lasciare il Giro d’Italia, ho deciso di mollare. Dovevo chiudere ai mondiali, l’ho fatto prima. In Australia ci sono andato come tifoso. Sono stato nell’hotel della nazionale. Ho incontrato i miei amici, gli allenatori, i meccanici, i massaggiatori con cui ho lavorato per tanti anni. Mi è piaciuto essere in cima a quello strappo per incoraggiare i miei compagni di squadra, ma in nessun momento ho sentito che avrei voluto essere lì come corridore.

«Non mi sono mai sentito un eroe, semplicemente sapevo andare forte in bicicletta. E’ l’unica cosa che so fare meglio degli altri. Pochissime persone possono vivere quei momenti in cui sei tra i migliori a un passo dalla cima, è qualcosa speciale. Ma non mi sento speciale come persona. Se però posso dare speranza e ispirare qualcun altro, allora questo sarà molto positivo».