Quando Mathieu Burgaudeau si è presentato tutto solo al traguardo di Aubagne, alla Parigi-Nizza, moltissimi addetti ai lavori si sono guardati in faccia con la tipica espressione dipinta sul volto: “Ma chi è?”. Internet in questo è utilissimo, basta andare su Google, digitare il nome e tramite i siti specializzati si sanno tutti i numeri del corridore di Noirmoutier en l’Ile che, a dispetto di qualche buon piazzamento (è stato 3° all’ultima Coppa Sabatini) era ancora un perfetto sconosciuto.
I numeri, si sa, non dicono tutto, non raccontano storie. Per quelle servono domande, ricerche, tempo. Quando i giornalisti si sono presentati dal suo diesse alla Total Energies Jean René Bernaudeau, l’ex fedelissimo di Bernard Hinault ha finalmente potuto raccontare una storia che sembra totalmente in contrasto con il ciclismo che viviamo oggi. Una storia all’insegna di un concetto: la passione.
Tu sei Bernaudeau? Vieni dentro a bere…
Siamo alla fine del 2016. Bernaudeau, chiusa la stagione, comincia a gettare le basi per la successiva e soprattutto va a caccia di nuovi talenti. Lui è vecchia scuola, ascolta sì le proposte dei consiglieri, dei talent scout, dei procuratori, guarda quei fatidici numeri, ma per lui è fondamentale il contatto umano. Ha sentito parlare di un ragazzino della Vandea che ha buone capacità, vorrebbe portarlo nella sua squadra-serbatoio locale, così si dirige alla volta di Noirmoutier.
E’ un piccolo centro di pescatori, non sa di più. Dove abiterà? Prova a chiedere a due marinai davanti a un bistrot, ma la sua faccia non è proprio comune soprattutto se quelli hanno qualche ruga sul viso in più: «Ma tu sei Bernaudeau… Se vuoi sapere l’indirizzo vieni dentro a bere qualcosa con noi…». E’ mattina, ma tant’è, bisogna sacrificarsi. Due ore e qualche drink dopo, l’indirizzo è digitato sul Gps e in pochi minuti eccolo a casa Burgaudeau.
Mathieu in mezzo alle reti
L’immagine che si trova davanti gli resterà impressa: vede questo ragazzino minuto (è alto 1,61), che con suo padre Alain, sua madre Sylvette, le sorelle Marie e Victoira stanno tessendo le reti per la pesca. E’ davvero un’attività di famiglia, tutti sono coinvolti e parlando con Mathieu questo glielo sottolinea subito. La cosa che però colpisce di più il diesse è l’estrema applicazione che quel ragazzino mette in ogni cosa che fa: se è così attento nel lavorare in aiuto del padre, se è così determinato nel suo futuro in bici come dice, questo qui porterà risultati.
«Mi sono sentito subito in sintonia con lui e con loro – ricorda Bernaudeau – perché avevo di fronte un ragazzo giovane ma con la testa sulle spalle. Mathieu era molto richiesto, io gli ho spiegato che cosa avevo in mente per lui e ci siamo subito trovati d’accordo, ma lui ha tenuto a sottolineare come anche da pro’ non avrebbe mai dimenticato le sue origini. Un giorno, poco tempo fa, si è presentato al raduno della squadra con le sue ceste: “Ragazzi ho qui 150 granceole, oggi cucino io per tutti…”. Fare squadra è anche questo».
Un ragazzo dai valori profondi
Mathieu ha iniziato la sua trafila, ma quando si allena a casa, la giornata comprende sì allenamenti, alimentazione, trascrizione dei dati e tutto il resto, ma anche tempo passato in famiglia, a dare una mano e su questo non transige: «Dietro a Mathieu c’è una storia fatta di gente che lavora e di valori profondi – riprende Bernaudeau davanti ai giornalisti – in questi giorni così difficili la sua vicenda umana, il fatto che sia arrivata alla luce ora, qui, rappresenta qualcosa d’importante».
Chi lo conosce, sa che il diesse è un tipo sanguigno e quella lunga cavalcata solitaria, incitandolo alla radio l’ha vissuta nel profondo. Quando l’impresa stava diventando realtà, qualche lacrima è anche comparsa sulle sue gote. Lacrime come quelle di Burgaudeau, appena tagliato il traguardo, salvatosi da una caccia spietata del gruppo per soli 2”, quegli stessi 2” che separano la gioia dal dolore, la felicità dalla disperazione. Si è appoggiato alle transenne, attimi interminabili, poi tre urla, venute dalle viscere, per buttar fuori tutta l’adrenalina accumulata non solo in gara, ma anche in questi anni.
Un autobus tutto per sé…
Dal 2016 al 2022 non tutto è filato liscio. Con la Vendée U vinceva a mani basse fra gli juniores, passato di categoria tutti si attendevano tanto da lui, ma le vittorie non arrivavano: «Mi sentivo un blocco qui – indicandosi la testa – è complicato. Sapevo di poter andare forte, ma non ci riuscivo, eppure facevo tutto per bene, con la massima concentrazione. A inizio settimana tutta la squadra ha preso un brutto virus, io solo mi sono salvato, ma ho dovuto vivere la Parigi-Nizza in solitudine: uscita mattiniera in bici da solo, mangiare da solo, nell’autobus in un angolo, non è stato piacevole». Il bello è che quella strana Parigi-Nizza nel finale lo ha visto correre da solo, con tutto l’autobus solo per lui e due meccanici, un cuoco, un osteopata oltre al direttore sportivo, tutto quel che era rimasto della Total Energies…
Nella sua mente, più di una volta Mathieu aveva pensato se ne valesse la pena: in fin dei conti un’attività di famiglia c’è e neanche gli dispiace, con la pesca ha un rapporto tutto suo, è una cosa intima anche quando lavora con il resto della famiglia. Ma il ciclismo sa anche essere qualcosa di coinvolgente: il giorno prima della sua vittoria, con il freddo che cominciava a metterlo in difficoltà, cercando nelle tasche non c’era niente. Senza rifornimenti, avrebbe finito per doversi fermare. Un avversario della Movistar, vedendo il suo affannarsi si è avvicinato e gli ha passato quel che gli era rimasto. La sua vittoria del giorno dopo è nata anche da quel piccolo episodio.