Qualche foto condivisa sui social insieme al fidanzato Manlio Moro mentre si trovavano seduti sugli spalti del velodromo Ottavio Bottecchia di Pordenone. Sotto, sul cemento, giravano bambini e ragazzi di età diverse. Rachele Barbieri ha vissuto una giornata particolare, che l’ha portata a ricordare quando il ciclismo era un semplice divertimento (in apertura foto Alessia Tosoni). Quando era ancora Rachele e il ciclismo professionistico era solamente un sogno talmente lontano da essere quasi aleatorio.
«Avevamo programmato di stare qualche giorno a casa di Manlio in Friuli – racconta Rachele Barbieri – perché tra i tanti impegni e le gare era da un po’ che non tornava. Allora la società Amici della Pista ci ha contattato chiedendoci di andare a trovare i bambini e i ragazzi in pista. Avevano programmato una serie di gimkane e di gare per i più grandi. Abbiamo portato qualche maglia delle nostre rispettive squadre (Team Picnic PostNL per Barbieri e Movistar per Moro, ndr)».


Di nuovo in pista
Per Rachele Barbieri la pista ha un significato profondo legato al ciclismo di quando si è piccoli. Tornare a respirare quell’atmosfera le ha permesso di far riaffiorare emozioni e ricordi passati.
«Tra l’altro – ci dice – qualche giorno prima di andare al velodromo di Pordenone ero tornata a girare su pista a Montichiari. Quindi in pochi giorni sono tornata davvero a rivivere certi aspetti del passato che mi hanno regalato delle belle emozioni. Vedere quei bambini girare mi ha ricordato quando ho iniziato ad andare in bici, come molti di loro l’ho fatto da piccolissima: avevo cinque anni. Quando le gambe si sporcavano con il grasso della catena, la serenità e la spensieratezza di pedalare e basta. Erano i tempi in cui il ciclismo e la bicicletta li vivevi come un divertimento con gli amici e alle gare ti accompagnavano i genitori e i nonni».


Cosa ti ricordi di quelle prime volte in pista?
Spesso da piccola ero sola perché i miei genitori lavoravano entrambi. Per fortuna il diesse della squadra in cui correvo mi veniva a prendere a casa con il furgone della società. Crescendo poi, i miei genitori mi hanno accompagnato ovunque, soprattutto nel periodo invernale in cui facevo ciclocross. Correvo in una società piccola, quelle in cui i genitori guidano il furgone o mettono a disposizione la propria macchina per la trasferta.
Come hai vissuto il rapporto sport-genitori?
Sono stati sempre al loro posto. Mi hanno dato il massimo sostegno ma senza mai mettermi pressione. Penso che questo aspetto abbia influenzato positivamente la mia crescita e la mia carriera. Sono cresciuta insieme al ciclismo e se sono diventata l’atleta e la ragazza che sono lo devo a questo sport. Si dice sempre che lo sport è una scuola di vita, ma è così.




Per te in che modo lo è stato?
Mi ha insegnato a prendere un impegno e a rispettarlo. Ad avere dei vincoli e saper incastrare e programmare i diversi aspetti della mia vita, anche quando ero piccola. La scuola, poi i compiti prima di andare in bici. Insomma, magari piccoli aspetti ma che ti mettono davanti a scelte e responsabilità.
Avere a che fare con tante persone aiuta a crescere?
Ho imparato il rispetto verso gli altri. Ad esempio quando si era in pulmino o in camera con ragazzi che non conosci capisci le esigenze e le abitudini degli altri. Impari a rispettarli e a trovare un compromesso.


Che cosa ti è venuto in mente guardando quelle biciclettine che giravano?
Mi ha colpito il fatto di vederli cadere e dopo un secondo ritrovarli già in piedi con la bici sotto braccio pronti a ripartire. Il ciclismo ti insegna a reagire a certe cose. Un bambino che non ha mai fatto sport cade e piange, loro invece pensano subito a ripartire. Una pulita con la mano al ginocchio o al gomito e via.
Ci sono delle foto in cui parli, i bambini ti hanno chiesto qualcosa di particolare?
Mi venivano a chiedere il nome. Non sapevano nemmeno come mi chiamassi. Ed è stato bello così, per loro ci sarebbe potuta essere anche la persona più importante del mondo che comunque non l’avrebbero riconosciuta. Volevano solo pedalare e divertirsi. E’ stato bello anche per me, che per un giorno sono tornata Rachele, la bambina che pedalava su quelle biciclette senza altri pensieri per la testa.