«Borgognoni che mi massaggiava alla Lampre – dice Barbero – aveva vinto due o tre tappe al Giro d’Italia. Tanti di quelli che lavorano nel ciclismo hanno corso, a volte i corridori lo sanno, altre volte no. Io penso sempre ai miei tempi, ma non mi piace fare confronti. L’unica cosa che mi sento di dire è che Marco Pantani ancora oggi avrebbe potuto vincere Giro e Tour, anche se il livello attuale è davvero altissimo».
Il negozio di bici
Borgognoni se ne è andato troppo presto, nel 2014. Sergio Barbero invece, piemontese classe 1969, fa il meccanico alla Androni. C’era anche lui la settimana passata sull’ammiraglia di Ellena durante quelle famose sei ore intorno a Benidorm. E così, fra i ricordi del tempo andato e alcune osservazioni sul presente, è nato uno scambio di ricordi e opinioni con uno dei compagni di Pantani. Uno che lo conosceva sin da dilettante e che anni dopo, in quel giorno infernale del Galibier in cui il capitano vinse il Tour, fu costretto alla resa.
Un soldatino in gruppo
Barbero è stato professionista dal 1992 al 2007 e quando smise pensò di uscire dal gruppo, aprendo tuttavia un negozio di bici.
«Non sono un commerciante – dice – ho provato a trasmettere qualcosa della mia esperienza ai clienti, ma non ha funzionato. Era un mondo diverso. Qui se si rompe qualcosa, la butti. Là bisognava ripararla. Mi sarebbe piaciuto fare il meccanico da subito, mentre non sarei stato tagliato per fare il direttore sportivo. Non trasmetto carisma e grinta. Sono più un soldatino, anche da corridore. Ho vinto le mie corse, ma solo quando ero libero…».
Al Giro con Pantani
La sua fu infatti estrazione da gregario, anche se con 11 vittorie e due mondiali in azzurro, poteva ritenersi a buon diritto un signor gregario.
«La mia fortuna – dice – è stata aver corso con Marco. Lo avevo conosciuto da dilettante, perché correvo in una squadra emiliana e di conseguenza nel 1991 e nel 1992 facemmo assieme il Giro dei dilettanti con Maini tecnico. Quando poi passammo e a fine 1994 Reverberi mi disse che non mi avrebbe tenuto, chiesi a Marco se da loro ci fosse posto. Mi vergognavo, non sono tipo che domanda. Mi disse che erano in 17 e che portava anche sfortuna e così, sia pure al minimo, firmai il contratto che mi fu proposto da Boifava. Anche se corsi più con Chiappucci che con Marco, fu chiaro che bastava una sola parola, perché la squadra cambiasse direzione. E soprattutto fu la conferma che faceva sempre quel che diceva».
Approdo alla Lampre
La coppia si separa nel 1999, dopo Madonna di Campiglio, quando la squadra era incerta se confermare il suo impegno. Barbero provò a contattare Marco, che però in quel periodo era sparito. E solo alla fine accettò l’offerta di Saronni e andò alla Lampre.
«Ci incontrammo a Murcia – ricorda – e quando fummo al foglio firma, mi mollò una battuta delle sue. “Se era per un problema di soldi – fece secco – potevi dirmelo”. Io gli risposi che i soldi non c’entravano e così dopo un po’ si mise a parlare della moto che si era costruito. C’era un bel rapporto. Il bello della Mercatone Uno è che era composta da uomini che si fidavano. E Marco era carismatico, al punto che anche ai primi tempi i corridori più esperti avevano soggezione a chiedergli le cose».
Ricordo di Pezzi
Fra le vittorie di ieri, Barbero ricorda soprattutto il Giro di Toscana del 1997, la prima da professionista.
«Eravamo stati all’hotel Monte del Re (hotel di Dozza che tenne a battesimo la Mercatone Uno, ndr) – ricorda – e di lì a poco saremmo andati alle corse. Ci fermammo per salutare Luciano Pezzi (presidente della squadra, ndr), un uomo semplice e schietto come Alfredo Martini. E Pezzi mi disse di stare accanto a Podenzana, di fare il possibile, perché poi saremmo andati al Giro con Marco. Al Toscana rimasi con Bartoli e alla fine riuscii ad anticiparlo. Correvo bene, non avevo bisogno del forcone puntato».
Troppo inglese
Il ciclismo è cambiato davvero molto e Barbero non è sicurissimo che in quello attuale si sarebbe trovato bene.
«Quello che non invidio ai corridori di adesso – sorride – è che si parla tanto l’inglese. Alle partenze non vedo gruppetti di corridori che parlano. Prima si sentiva il friulano, veneto, lombardo, romagnolo… Ora solo inglese, poi si parte e si va subito a tutta, mentre ricordo quando si partiva piano, con Cipollini che teneva il gruppo cucito e Max Lelli che faceva ridere. Oggi mancano i corridori di vero carisma, forse l’unico in giro è Sagan. Ma non voglio fare confronti. Dico solo che a volte, quando sono in bici, mi prende la carogna e comincio a spingere a tutta in salita. La testa è sempre lì, ma il fisico ormai non la sostiene più…».