«Beh, se i colombiani sono tranquilli, gli ecuadoriani sono tranquillissimi!». Giovanni Ellena va subito al punto quando gli chiediamo di Jefferson Alexander Cepeda, altra scoperta sudamericana di Gianni Savio. Lo scalatore dell’Androni Giocattoli ha vinto una tappa e classifica generale del Tour de Savoie-Mont Blanc. E anche ad inizio stagione si era fatto vedere…
Cepeda, un gran motore
«Cosa volete sapere? – chiede Ellena – Cepeda ha un potenziale molto buono per la salita… Deve tirare fuori ancora molto. E proprio perché è così tranquillo spesso a volte in corsa è un po’ distratto e manca di cattiveria agonistica.
«Per esempio in Sardegna, anche se stavolta non per colpa sua ma perché lo avevano preso, è caduto. Ha corso con un ginocchio aperto e questo gli ha compromesso in parte il Tour d’Alsace. Anche al Savoie non era in formissima prima del via, a dire il vero, però è andato fortissimo. Per dire che ha un grande potenziale se riesce a vincere quando non è al top. Tra quelli che ci sono passati tra le mani se Bernal vale 10 e Sosa 8, io lo accosto al livello di Sosa. Ha caratteristiche molto simili, ma è un po’ meno esplosivo».
Distratto, ma tosto
L’esplosività è sempre più necessaria in questo ciclismo attuale. E di certo in qualche modo ci si deve lavorare, specie se sei alle prime armi come Cepeda (classe 1998).
«Come ci si lavora: lo fai correre… Inutile che gli spieghi ogni cosa, alla fine serve concretezza. Una sera eravamo in ritiro a Gressoney: io, lui e Umba. Gli ho detto che non avrei preso il vino, che le calorie del vino me le sarei prese con il dolce. Quando ho detto così è rimasto. Cose che per noi sono scontate per loro non lo sono. E alla fine emerge una discussione tecnica ed interessante più in questo modo che dicendogli cosa devono mangiare o meno.
«Per aspetti più tecnici invece il problema dei sudamericani è che in salita vanno sempre fortissimo. Per loro la pianura è l’avvicinamento alla salita. Invece non è così e devono imparare a gestirsi. Nella tappa di Brindisi, quella dei ventagli al Giro dello scorso anno, era spaventato al via. Ma alla sera era vincitore, in quanto ne era uscito bene. E certe cose le impari in corsa. In allenamento non è la stessa cosa: non vai a quei ritmi, non c’è quella cattiveria in gruppo».
Re del Galibier
Con il diesse piemontese si passa poi a parlare del recente trionfo al Tour de Savoie. Anche Umba aveva vinto. A lui è andata la seconda tappa, ma stavolta il capitano era Cepeda.
«Anche se non era così convinto di fare bene – confida Ellena – Anche se c’era Giampaolo Cheula in Francia, io gli ho detto: la tappa del Galibier può essere la tua. Si va ben oltre i 2.000 metri, puoi fare la differenza. E’ partito ed è andata bene. Ero convinto che con la testa fosse già in vacanza perché poi il 9 agosto, cioè il giorno dopo l’ultima tappa, tornava per un mese a casa in Ecuador. Invece…».
Quando poi chiediamo a Giovanni su come abbia gestito la pressione per mantenere la maglia, Ellena apre dei “cassetti” fantastici che rendono bene l’idea di chi sia il corridore sudamericano, sia in senso stretto che in senso lato.
«La pressione l’ha gestita bene, ma devo dire che sono stati bravi tutti i ragazzi. Si è creato un bel gruppo con questi giovani. Bais, Ravanelli, Umba… hanno corso bene. Li vedi che ridono e scherzano, ma quando c’è da fare i seri sono i primi. Si danno da fare, corrono uniti. Si aiutano. Di certo nel nostro bus l’atmosfera che c’è adesso è ben diversa da quella di due anni fa.
«Però se parliamo di pressione un po’ mi viene da ridere. Loro neanche sanno cosa sia la pressione. Cheula mi ha detto: secondo me neanche si è reso conto di aver preso la maglia! Loro hanno una vita parallela. I sudamericani basta che quando rientrano in camera trovano della musica, sudamericana chiaramente, e un po’ da mangiare. Staccano del tutto. Non sono come noi europei che ci ripensiamo su. A parte Bernal che è il più anglosassone tra i colombiani, anche se lui, adesso che ha preso fiducia, la vive molto più easy. E forse questo atteggiamento è la loro forza».
Dolore questo sconosciuto
Cepeda, scalatore da 163 centimetri per 55 chili, ma due polmoni e un coraggio grossi così.
«Sta sempre un po’ sulle sue, ma non è timido è riservato. Come detto vive nel suo mondo. Quando eravamo ai 2.400 e rotti metri in ritiro a Gressoney, non voleva quasi più scendere. Lui vive a 2.600 metri di quota. Mi sento a casa, mi diceva. Nel frattempo io facevo i miei conti su quando scendere per andare appunto al Savoie. Beh, mi avrà detto 7-8 volte: ma perché non scendiamo il giorno prima della corsa?
«E poi ha una resistenza al dolore incredibile (caratteristica mica male per un ciclista, ndr). E adesso vi dico perché quando cade non si lamenta mai. Prima del Tour of the Alps, aveva un dolore al dente del giudizio. Allora lo porto da un mio parente che fa il dentista e mi dice che gli serve l’antibiotico altrimenti gli fa male. Jefferson non lo vuole. Il dente va tolto. Lo tolgono, appunto senza la base dell’antibiotico, e con giusto un minimo di anestesia. Al che il dentista è rimasto scioccato. Per tutta risposta, quattro giorni dopo Cepeda ha fatto quarto al Tour of the Alps».