Salvoldi: il lavoro continua tra pensieri e voglia di cambiare

11.10.2024
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Il tempo di smaltire e mettersi alle spalle l’euforia del successo iridato di Zurigo e Dino Salvoldi è già tornato al lavoro. A livello di calendario il triennio alla guida della nazionale juniores si è concluso con la prova iridata e la vittoria della maglia arcobaleno di Lorenzo Finn. Tuttavia il cittì non ama rimanere con le mani in mano. Un successo del genere porta felicità, ma non fa di certo terminare gli impegni e il lavoro iniziato ormai tre anni fa

«Il ricordo di Zurigo – dice Salvoldi mentre in sottofondo si sente lo scorrere dell’auto sull’asfalto – è vivo e bello nella mia testa. Ma nel mio lavoro si deve sempre volgere lo sguardo avanti. Ieri e oggi (mercoledì e giovedì, ndr) sono stato a Montichiari a visionare gli allievi 2008. Ovvero coloro che nel 2025 passeranno juniores».

Il lavoro continua

Tre anni passano in fretta, in particolare se al termine di questi c’è un successo grande come la vittoria di un mondiale che mancava da 17 anni. Salvoldi ha capito l’importanza di tale traguardo, ma non si è fatto distrarre. Il lavoro svolto è tanto, ma non manca quello futuro (in apertura una foto del Giro della Lunigiana foto Duz Image / Michele Bertoloni).

«Partiamo con ordine – analizza – perché quando sono arrivato in una fase di cambiamento del ciclismo giovanile. Questa era già in atto tra gli juniores, seppur da poco tempo. Nel frattempo c’è stata una grande evoluzione e un cambiamento radicale della categoria a livello internazionale. Tuttora mi sento di dire che l’Italia fa un po’ fatica nell’attività di vertice. La vittoria di Finn riempie di felicità e orgoglio ma non mancano i passi da fare per adattare tutta la categoria a quello che è il livello internazionale».

Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
A riguardo ci sono delle motivazioni?

Certo, più di una. In primo luogo come Italia siamo molto legati alla nostra storia, alla tradizione e alle strutture presenti. Un po’ di anni fa eravamo il riferimento internazionale, ora però le cose sono cambiate. Il ciclismo è una questione globale, è inutile chiudersi in abitudini e tradizioni. Il rischio è di avere un limite di crescita importante. 

C’è un cambiamento sempre più evidente rispetto al passato. 

In primo luogo credo la prima risposta data dalla mia gestione sia stata quella di riunire l’attività di strada e pista. Questo ha fatto sì che ci fossero maggiori possibilità di crescita e programmazione. Abbiamo preso ragazzi con caratteristiche e potenzialità per fare entrambe le cose. In passato questo non sarebbe stato possibile, con il senno di poi direi che è stata una mossa corretta. 

La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
Le squadre come l’hanno presa all’inizio?

C’è stata comprensione e collaborazione. Quasi oltre alla possibilità di gestire certi numeri. Come tecnico credo che tutti dovrebbero allenarsi su strada e pista, è una cosa che aiuta dal punto di vista formativo. E chiaro che non posso occuparmi personalmente di 800 ragazzi, ma il modello deve essere da esempio. Noi come Federazione abbiamo modo di poterci occupare di 40 atleti e solo sei di questi saranno poi selezionati per le competizioni principali. Quello che deve passare è che i restanti 34 non hanno perso tempo, ma hanno comunque svolto un’attività formativa. 

Serve una programmazione, da parte di tutti. 

Credo che in questo periodo il ciclismo non sia una questione europea ma mondiale. Questo comporta che non si può pensare di sopravvivere grazie alla casualità del super talento. Ora il fuoriclasse può nascere in ogni angolo del mondo e ogni nazionale è in grado di scovarlo. Anni fa il ciclismo era una questione tra 20 Paesi, ora siamo in 50, se non di più. Fino a 15 anni fa gli juniores erano 3.000, ora 800. E’ evidente che la selezione naturale non è più possibile. Si deve essere bravi a programmare per alzare il livello medio ed essere competitivi. 

Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
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La speranza è che la vittoria di Finn possa fare da traino?

E’ chiaro che avere un campione in casa aiuti a crescere. Guardate il tennis ora, grazie a Sinner aprono scuole e la gente si appassiona. Se voglio guardare il bicchiere mezzo pieno riguardo la vittoria di Finn direi che può essere un esempio. E’ un ragazzo che ha cambiato realtà e calendario andando all’estero, ma ha vissuto la sua quotidianità in Italia andando a scuola e facendo quello che fanno tutti i ragazzi. 

Può essere un insegnamento…

Se fai quel che hai sempre fatto rimani dove sei. Invece bisogna avere il coraggio di cambiare, anche contro le proprie tradizioni. Fare calendari differenti o avere regole diverse per permettere una crescita globale. 

Si parla di aggiungere un anno alla categoria, passando da due a tre.

Negli altri sport, soprattutto quelli di squadra, tutti gareggiano contro i propri pari livello. Nel calcio la Primavera del Milan non gioca contro quella del Montichiari, ad esempio. Nel ciclismo un ragazzo meno preparato compete contro quelli più forti e a fine stagione è destinato a smettere. Penso sia giusto parlarne a tutela dei numeri. Se parliamo di aggiungere un anno alla categoria mi trovate d’accordo. E può anche essere una regola nazionale, solo italiana. D’altronde i francesi hanno sempre corso con il rapporto libero, anche quando a livello internazionale c’era il blocco al 52×14. Perché non possiamo aumentare la categoria di un anno a favore di chi ha ancora bisogno di crescere e maturare?

Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
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Modificare il calendario passando da gare di un giorno a gare a tappe è un argomento tanto discusso tra gli addetti ai lavori. 

Se si dovesse passare a più gare a tappe va da sé che una squadra non potrebbe farle tutte, ma sarebbe costretta a scegliere e quindi programmare. In più una gara a tappe vede diversi sforzi al suo interno: salite, volate, cronometro… I ragazzi dovrebbero prepararsi per essere in grado di correre ovunque, altrimenti rischiano di essere tagliati fuori. L’idea è di fare qualcosa che non si fa di solito, altrimenti si coltiva sempre il proprio orticello. Però, se si vuole diventare un corridore professionista è importante sapersi destreggiare su ogni terreno. In più, per concludere, se si fanno 10 corse a tappe durante l’anno si arriva comunque a 40 giorni di gara, il che sarebbe diverso dal correre 40 domeniche. 

A sentir parlare Dino Salvoldi si capisce come la sua voglia sia quella di continuare un cammino che non reputa finito. Per lui, ma come per tutti gli altri commissari tecnici nazionali, un grande spartiacque saranno le prossime elezioni federali. Chiunque dovesse vincere dovrebbe tenere conto di quanto fatto e dei percorsi iniziati. Tutte queste considerazioni fatte dal cittì dovrebbero diventare tema di confronto sui tavoli federali, per evitare che il ciclismo italiano sia costretto a rincorrere. Al contrario si potrebbe provare ad anticipare i tempi. L’arcobaleno di Finn ha brillato nel cielo di Zurigo e del Ghisallo. Il ragazzo però l’anno prossimo passerà under 23 e continuerà la sua crescita con il devo team della Red Bull-Bora hansgrohe. Cosa rimarrà della sua vittoria e della maglia iridata? Speriamo possa essere un insegnamento per tutto il movimento e non solo un ricordo destinato a sbiadire nel tempo.