Roubaix 1964: «Il nostro vento, come la vostra tecnologia»

21.04.2022
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«Io c’ero in quella Roubaix del 1964, andammo davvero fortissimo. Si alzò un vento tremendo, un po’ a favore e un po’ di traverso. Le strade erano bagnate. Se avessimo avuto le bici di oggi, la nostra media non l’avrebbe battuta più nessuno…».

Yvo Molenaers ha 88 anni e in quella Roubaix, che ha detenuto la media record fino alla vittoria di Van Avermaet del 2017, si piazzò al terzo posto. Davanti a tutti arrivò Peter Post, subito dietro Benoni Beheyt in maglia di campione del mondo. E se l’ex iridato, cui quella maglia costò il resto della carriera, è rimasto legato al ciclismo tramite suo nipote Guillaume Van Keirsbulck che corre alla Alpecin-Fenix, Ivo Molenaers è il papà di Danielle, moglie di Valerio Piva, attuale tecnico della Intermarché-Wanty-Gobert. La storia è ben nota. Il mantovano alloggiava nell’hotel di Molenaers quando l’Ariostea veniva a correre al Nord e alla fine in Belgio decise di metter su famiglia.

Siamo venuti a trovarlo dopo l’acceso dibattito provocato dall’Editoriale di lunedì scorso su quanto contino in una prestazione i materiali, il meteo e le gambe dei corridori. Lui annuisce e il viaggio comincia.

Nel 1964 Peter Post vinse la Roubaix a una media poco inferiore a quella di ieri e con una bici “nuda”
Nel 1964 Peter Post vinse la Roubaix a una media poco inferiore a quella di ieri e con una bici “nuda”

Tempesta di vento

Yvo è in gran forma. A volte per farsi capire occorre alzare un po’ la voce, ma l’intervento di sua figlia con il fiammingo contribuisce a rendere più fluida la conversazione. Classe 1934, è stato professionista dal 1956 al 1967 con qualche vittoria e podi di peso. Nell’hotel, il celebre Hove Malpertuus, alloggiano l’Astana e ovviamente la Intermarché, nel parcheggio i meccanici stanno finendo di riporre le bici sui camion.

«Una vera tempesta di vento – racconta – ma più o meno gli stessi settori di pavé, non ricordo esattamente i chilometri. Usavo una bici normale, con il telaio d’acciaio. La stessa di tutte le corse, solo le gomme un po’ più grosse, perché a quei tempi il pavé non era bello… pettinato come oggi. Nessuno se ne prendeva cura. Fino al giorno prima ci passavano i contadini con i carri e i trattori. Così la mia bici pesava 12 chili, ma anche io ne pesavo 80. Il pavé mi piaceva, non è mai stato un grosso problema. Davanti avevo il 41-52 e dietro 5 rapporti. Il più grosso sarà stato un 21».

L’offerta di Post

Peter Post era un mago delle Sei Giorni e sapeva che il più delle volte le corse si risolvono con le gambe, ma spesso un buon accordo può mettere al riparo dalle sorprese. Oggi non si può più fare, Vinokourov e Kolobnev sono finiti a processo proprio per una Liegi, ma allora ci si indignava meno. Si correva ancora per rabbia e per amore…

«Eravamo in quattro – ricorda Molenaers – due per squadra. Benoni ed io della Wiels-Groene Leeuw, Post e Bocklant della Flandria-Romeo. A dire il vero attaccammo in sei, però Gilbert Desmet bucò e non riuscì più a rientrare. Mentre il sesto (ride, ndr) non ricordo chi fosse. Un paio di volte provai anche ad attaccare sul pavé, dove ero più forte. Così a un certo punto, Post venne a proporre a me 50 mila franchi belgi per arrivare insieme nel velodromo. E scoprii poi che ne aveva offerti 35 mila anche a Beheyt per lo stesso motivo. Si vede che io gli facevo più paura. Comunque quando non sei sicuro di vincere, intanto prendi i soldi. E per la volata contavo su Beheyt, che dei due era il più veloce. Così avremmo vinto e diviso anche i premi del vincitore».

Vento e tecnologia

La storia insegna che Post li infilò tutti e che alla fine pagò il suo debito con il contributo della squadra. Ma il punto con Ivo Molenaers è capire la differenza fra correre una Roubaix con i materiali attuali e farlo con quelli dell’epoca. Lui allarga un sorrisone bonario e pacioso.

«Penso che fare il corridore oggi – dice – per certi versi sia più facile, visti i materiali e l’allenamento. Visto anche che in corsa sai tutto quello che succede grazie alle radio. Noi partimmo all’attacco e d’accordo che c’era il vento, però magari non avremmo avuto quella media se ci avessero detto che avevamo due minuti e mezzo sugli inseguitori. In quel ciclismo si andava sempre a tutta. Fummo anche fortunati, perché davanti alle corse non c’erano tutte le auto di oggi, ma sono sicuro che quelli dietro beccarono anche un bel fango. La loro media, vento o no, fu per forza più bassa. Facevamo qualche chilometro in più, visto che si partiva da Saint Denis, alle porte di Parigi, non da Compiegne. Sento i ragionamenti di Valerio (Piva, ndr) sulle bici dei suoi corridori. Si parla di ammortizzazione, di ruote in carbonio, di prove da fare prima per scegliere le pressioni. Tutta questa tecnologia è quello che per noi fu il vento. E per il resto sta ai corridori pedalarci sopra…».

Danielle, figlia di Yvo, splendida padrona di casa
Danielle, figlia di Yvo, splendida padrona di casa

La beffa di Cerami

Ci offre una birra e intanto apre una scatola di foto e ricordi. Il contratto con una squadra, copia carbone dell’originale scritto a macchina e firmato in calce. Una vecchia foto della Carpano. E poi un ritaglio di giornale della Roubaix del 1960.

«Quella l’avrei vinta io – dice mettendosi una mano sulla fronte – c’era Simpson davanti e io dietro a 100 metri. Dietro ci inseguiva Cerami. Bucai a 18 chilometri dall’arrivo. Due giorni prima avevo vinto la Anversa-Ougrée, battendo proprio Cerami. Ebbene Pino mi passò davanti mentre sistemavo la ruota e andò a vincere la Roubaix…».