«Non ho mai cercato le fughe per la pubblicità». Basterebbero queste parole per capire che Simon Pellaud è un corridore tutto di un pezzo: furbo e intelligente.
Lo svizzero-colombiano dell’Androni Giocattoli è stato uno dei protagonisti del Giro del d’Italia. Lo abbiamo imparato a conoscere con le sue tante fughe. Ha divorato i traguardi volanti, tanto da vincerne la speciale classifica. E soprattutto ha sempre corso con cognizione di causa. Mai un’azione banale. Persino quando si staccava.
In corsa con la testa
Prima della crono finale racconta: «Per me la fuga è sempre un momento ponderato. Non la cerco per la pubblicità o per lo sponsor. Gianni Savio ci dice di essere sempre protagonisti. E lo facciamo. Ma la mia idea è sempre quella di arrivare».
Simon è serio, schietto. Pulito quando parla. Mostra una decisione che si riscontra in sella. La sera prima delle tappe prendeva il Garibaldi e se lo studiava, per capire se davvero valesse la pena attaccare oppure no.
Voleva partire piano nella prima settimana, perché fino all’ultimo era incerto del suo Giro. Era caduto al Giro dell’Emilia. Alla Tirreno-Adriatico e al Giro dell’Appennino ancora aveva problemi alla schiena e persino di memoria in seguito al trauma cranico che aveva riportato.
«Faccio fatica a concentrarmi – confida Pellaud a Savio – non so se potrò esserci. Gianni però mi ha tranquillizzato. Mi ha detto che potevo fare la prima settimana piano».
Ma non è andata proprio così. Nella tappa di Villafranca Tirrena, quarta frazione, Simon è già davanti e già da solo.
«La sera avevo visto la salita di Portella Mandrazzi. Con le caratteristiche di quell’ascesa sapevo che si sarebbe faticato in gruppo. Ci sarebbero stati tira e molla. Mi hanno detto che la planata successiva era impegnativa. E allora tanto valeva far fatica davanti. Senza contare che in discesa non ho rischiato, ho deciso io il passo».
Passato nel WorldTour
Pellaud ha corso per due anni nella Iam, squadra WorldTour e si vede. Si gestisce in modo professionale. E’ consapevole delle proprie possibilità e di quelle del suo team. Sa dove può arrivare e dove no.
«Alessandro Bisolti mi dice sempre: come mai un corridore come te non è nel WorldTour? Prenderesti più soldi, faresti altre corse. Io però all’Androni sto bene. Ho un contratto, faccio le mie gare e posso permettermi di staccarmi. Voi siete i primi ad intervistarmi. Chi sarebbe mai venuto a parlare con un corridore che in 21 tappe non è mai arrivato con il tempo dei primi, neanche nelle volate. Perché ai 5 chilometri mi rialzavo. Risparmiavo energie. Fare 150° staccato o 70° in gruppo cosa mi cambiava? Però in questo modo avevo più possibilità di fare bene il giorno dopo. In un altro team non lo avrei potuto fare».
Ma la sua analisi non si ferma qui. E si lega molto bene al discorso di Portella Mandrazzi.
«Noi e le altre squadre non WorldTour in gruppo non siamo rispettati. Siamo in settantesima, ottantesima o centesima posizione del gruppo. Non possiamo lottare. E allora siamo nel mezzo e ogni volta facciamo gli elastici. E’ anche uno sforzo mentale. Oppure restiamo indietro se si spezza il gruppo. In questo Giro finché Almeida ha avuto la maglia rosa, in tutte le discese, ma proprio tutte, Iljo Keisse della Deceuninck-Quick Step le ha sempre prese davanti e le ha fatte a tutta. Lo faceva per non far correre rischi ad Almeida, ogni volta il gruppo in qualche punto si spezzava. Cosa possiamo fare noi se attaccano anche in quei momenti?».
Ventagli anticipati
Eppure Giovanni Ellena, uno dei ds dell’Androni, ci aveva detto che i ragazzi erano stati bravi nel giorno dei ventagli di Brindisi. Erano riusciti ad arrivare tutti all’arrivo e avevano portato Cepeda, il meno esperto, al sicuro.
«Vero, ma io mai e poi mai sarei stato dietro oppure a metà del gruppo con quelle condizioni. Quel giorno ho lottato come un pazzo non per andare in fuga ma nel trasferimento, per essere in prima linea al chilometro zero. E ho fatto bene, perché appena si è abbassata la bandierina è partito Thomas De Gent e io gli sono andato dietro. Qualche classica l’ho fatta e so come funziona. So come corrono i belgi e cosa sanno fare i Deceuninck con il vento. Quindi ho pensato che sarebbe stato meglio essere avanti, a prescindere dalla fuga, intanto non ero dietro al gruppo».
Obiettivo traguardi volanti
Simon lo abbiamo conosciuto la prima volta in inverno in Argentina. Era lì per trovare la condizione. Ci sembrò concreto.
Questo era il suo primo Giro, ma aveva già fatto due Vuelta. Nella terza settimana è andato forte, ma Simon esalta soprattutto la seconda. In fuga verso Cesenatico e verso Monselice: due tappe molto dure.
«Quel giorno quando Ulissi ha vinto la seconda volta ho faticato tantissimo per prendere la fuga. Ero stato fuori tutto il giorno prima, spendendo molto nella tappa della Nove Colli. Verso Monselice ero in mezzo e vedevo che un Cofidis non riusciva a chiudere. Così l’ho puntato, l’ho saltato e mi sono aggregato al drappello di testa. E’ stata una fatica tremenda. Però significava anche stavo bene, dopo lo sforzo del giorno prima. Inoltre potevo difendere la classifica dei traguardi volanti.
«Quello è stato un obiettivo nato quasi per caso. La prima volta che potevo vincerlo ero in fuga con Marco Frapporti e glielo lasciai. Poi strada facendo ho capito che lì si poteva prendere qualcosa. Così ci ho puntato. Per noi dell’Androni Giocattoli salire sul podio di Milano era importante».
La stagione di Pellaud però non è finita. Si chiuderà domenica prossima al campionato nazionale svizzero. Dopodiché Simon prenderà il volo per la sua seconda patria, la Colombia. «Almeno – conclude – laggiù non prenderò il freddo e potrò preparare al meglio la prossima stagione».
E noi lo aspettiamo di nuovo sulle strade del Giro.