L’aveva già fatto, l’ha rifatto e poi si è ripetuta ancora un’altra volta. Eppure, ritoccare per tre volte il record dell’Ora non basta a Vittoria Bussi. Mentre vi raccontiamo dei suoi 50,455 km bruciati in 60 minuti domenica scorsa, infatti, sta raccogliendo le energie in quel di Aguascalientes, in Messico, per realizzare il suo pazzo sogno: diventare primatista mondiale anche dei 4 km.
Due sfide così affascinanti e così diverse fisicamente e mentalmente l’una dall’altra, che proiettano l’azzurra in una nuova dimensione. Lei però tiene i piedi per terra grazie all’amata Matematica che scandisce ogni sua mossa anche da quando ha lasciato la cattedra per lanciarsi sulle due ruote.
Si era ritirata dopo il precedente record dell’Ora, ma è tornata in sella proprio per inseguire questa doppia, affascinante sfida. Ieri, nel giorno di riposo, ci ha raccontato come sta procedendo la settimana più incredibile della sua vita.


Come ti senti dopo il terzo record dell’Ora e con un altro primato da inseguire?
Ho l’adrenalina talmente alta che nemmeno sento più la stanchezza in questi giorni. Sono in uno stato di isteria perenne, difficile da spiegare.
Com’è nata questa voglia di tornare in sella, fare un altro record per superare te stessa nell’Ora, abbinando poi la nuova sfida dei 4 km?
In realtà è sempre stato il mio sogno da quando sono salita in bicicletta quello di provare a farli entrambi nello stesso periodo. Non sono una storica di ciclismo, ma credo che l’unica in passato capace di concepire un’idea del genere sia stata Jeannie Longo. Quindi, ho voluto proprio spostare l’asticella un po’ più in là e farli in una settimana. Ovviamente, è una sfida grossa, soprattutto a livello fisiologico. L’Ora ti rovina un po’ la gamba per la partenza e ti toglie un po’ una brillantezza, le due velocità diverse che comunque creano una diversità dal punto di vista dinamico. Per queste ragioni, diventa fondamentale il recupero e capire in che giorni far cosa.
A questo proposito, ci racconti cosa cambia nell’inseguire due primati così simili e così diversi, ripercorrendo in un certo senso le orme di Top Ganna?
Ho sempre cullato questo sogno, anche pensando all’atletica leggera, lo sport da cui vengo e che influenza il mio pensiero. E’ un po’ come se Kipchoge, il re della maratona, prende e fa il record del mondo dei 1.500 metri. Mi sono detta: «Quando sarebbe bello che i due antipodi dell’endurance fossero nelle mani di un solo atleta nello stesso momento». Poi Filippo l’ha fatto subito dopo l’Ora di Grenchen e allora è arrivata la spinta ulteriore per convincersi che fosse fattibile. Nel 2023 volevo soltanto abbattere il muro dei 50 km, poi ho cominciato a pensare all’inseguimento, soprattutto dopo il cambio di distanza dai 3 ai 4 km.


Ci racconti la tua doppia preparazione?
Mi è dispiaciuto togliere del tempo all’Ora, però sapevo che il mio tallone d’Achille era sicuramente l’inseguimento. Quindi, se devo esprimere una percentuale, dico che l’80% del tempo è stato dedicato sicuramente all’inseguimento.
Allora si può dire che il bello deve ancora venire?
Sì, esatto. Dopo il record dell’Ora, ci siamo concessi giusto qualche tacos qui in Messico e un video perché il giorno dopo era il compleanno di mio marito Rocco, che mi supporta sempre in queste sfide. Poi siamo tornati con grande entusiasmo al velodromo per cambiare focus e fare le partenze. La sfida vera è proprio farli entrambi.
Quanto ti ha aiutato il tuo “team ristretto” e quanto hai raccolto questa volta col crowdfunding?
Questa volta il crowdfunding è andato male, perché ho raccolto 2 mila euro anziché 12 come nel 2023. Forse perché sono stata un po’ meno sui social, ma è stato un periodo complicato con l’annuncio del ritiro, poi il rientro e il dover convincere tutti gli sponsor a investire di nuovo. Più o meno, purtroppo, è successa la stessa cosa di sempre. La gente cioè comincia a crederci dopo e l’entusiasmo e l’appoggio arrivano sempre quando tutto è già passato. Direi quando ormai è un po’ tardi, se posso togliermi qualche sassolino dalle scarpette. Quest’anno è stato molto complicato anche per questo, perché non ho sentito fiducia e interesse nei miei tentativi. Poi, certo, mi prendo anch’io le mie responsabilità di non aver coinvolto abbastanza il pubblico. Però è un po’ un rammarico perché sono stati in pochissimi che ci hanno messo una pezza dal punto di vista economico e mi hanno aiutato a loro spese.


Rispetto alle altre due sfide del passato, quali sono state le differenze?
E’ stato tutto diverso, ogni prova in allenamento è stata sofferta, perché sapevo che non avevo tanti giorni per dedicare all’Ora. Gli anni passati sapevo che se un giorno non andava come volevo, potevo fermarmi anche prima perché sapevo di poter riprovare. Stavolta fallire una prova avrebbe voluto dire togliere dei giorni alla tecnica per i 4 km: partenze, resistenza alla velocità oltre i 60 km/h, brillantezza e così via. In queste ore tra i due tentativi, sto proprio cercando di lottare per ritrovare un poco di freschezza per essere pronta per l’inseguimento. E’ un po’ come se il giorno dopo un lungo, senza recupero, ti metti ad allenarti sugli sprint: la gamba non risponde esattamente come vorresti. Ho dovuto un po’ pormi un freno sull’ora per poter portare avanti entrambi i tentativi.
Da buona matematica però si potrebbe dire che hai fatto bene i calcoli?
Ne riparliamo venerdì (ride, ndr). Sto provando a battere il record un giorno sì e un giorno no, proprio per lasciare un po’ di spazio alle gambe per recuperare. Lunedì abbiamo fatto la prima prova ed è arrivato il record italiano, che comunque è la seconda prestazione di sempre nell’inseguimento (4’25”002, ndr). L’abbiamo registrata, ma non vogliamo accontentarci, sicuramente ci riproveremo domani (oggi, ndr) e se necessario anche il 16.
L’approccio mentale tra i due tentativi cambia?
Sì, perché devo ammettere che nell’inseguimento è difficile rimanere lucidi ed è forse la cosa che personalmente mi spaventa di più. Perdere il controllo mi dà molta noia. Nell’Ora concentrarsi sulle linee e le traiettorie è molto più semplice, perché tutto va un po’ più lento. Nei 4 km, una volta che lanci, è già finita e la vera spinta dura meno di tre minuti. E’ tutto un gioco di equilibri.


Arrivare da un altro emisfero, come quello accademico, è un vantaggio o uno svantaggio?
Quello resta il pilastro del progetto: riuscire a portare una visione scientifica nel mondo sportivo. Per fortuna non sono la sola a dirlo che è questo il futuro e spero che l’approccio scientifico, non soltanto matematico, sia sempre più importante. Sono tante le cose, come ad esempio anche l’aspetto manageriale di questi tentativi, con l’atleta al centro che si prende cura in prima persona di curare tutto. Ed è quello che vorrei trasmettere alle generazioni che vengono, in controcorrente rispetto a quello che accade in molti sport in cui l’atleta è poco “pensante” ed è solo concentrato sulla performance.
Hai pensato a cosa farai dalla prossima settimana?
Stavolta vorrei concedermi una vacanza, cosa che non ho fatto nel 2023 perché, nel pieno dell’adrenalina, mi sono buttata in mille eventi. Poi mi dedicherò alla famiglia, perché quando ci sono progetti così grossi, le priorità cambiano. Poi si riparte.
In sella?
Come atleta agonista direi che è arrivato il momento di fermarmi, ma sicuramente il ritiro sarà più graduale. Lo scorso anno mi ero privata della bici da un giorno all’altro e questo mi aveva fatto molto male. Mi piacerebbe tornare alle origini, con un po’ di corsa in montagna, ma senza nessun tentativo di record del mondo.
I gemelli Dematteis possono dormire sonni tranquilli?
Direi proprio di sì, loro me li ricordo bene (sono i due italiani più famosi nella corsa in montagna, ndr) perché sono della mia età e quando correvo erano già strabilianti.