La Mercatone Uno vent’anni dopo, in ricordo di Pantani e Cenni

12.11.2023
8 min
Salva

IMOLA – Una biglia rossa, la figura di un ciclista. A poche centinaia di metri dall’uscita dell’autostrada di Imola, procedendo verso sud, se si rivolge lo sguardo a destra si vede l’ex torre della Mercatone Uno con ai piedi l’iconica biglia di Marco Pantani. Un simbolo, che riporta alla memoria una miriade di ricordi legati al Pirata. Un luogo che ieri, vent’anni dopo, si è popolato da chi ha condiviso risate, successi, pianti con il campione romagnolo. Ex corridori della Mercatone Uno, direttori sportivi, massaggiatori, meccanici…

Il tutto organizzato dal suo ex compagno Fabiano Fontanelli e da Micaela Cenni, figlia di Romano che da sempre ha creduto nel ciclismo, prima con la Germanvox e poi con Marco. Un museo intitolato ai due volti della squadra romagnola, che ha saputo scrivere pagine di storia dello sport, attraverso imprese epiche che rimarranno indelebili per sempre. Uno spicchio di tutto quello che è stato, si è preso un piano di quella torre, quasi a voler scortare la memoria di Marco e Romano dietro quella biglia adagiata sul prato verde che vede passare gli anni e gli sguardi di tutte le generazioni. 

Voglia di ricordare

Arriviamo sotto la torre, la biglia è alle nostre spalle. Il piazzale che ci circonda meriterebbe di essere ricoperto da un red carpet per la quantità di persone che hanno contribuito a rendere grande questo sport. Giuseppe Martinelli, Orlando Maini, Roberto Conti, Davide Cassani, Michele Coppolillo, Dmitri Konychev, Marcello Siboni e si potrebbe continuare per almeno dieci righe, basti vedere la foto in apertura. 

Tutto questo è nato dalla volontà di due persone. «Fabiano Fontanelli ha organizzato tutto – dice Micaela Cenni – ha voluto che tutti fossero qui per salutare Marco e il mio papà a 20 anni dalla chiusura di quel progetto che oggi rimane un riferimento per quello che è riuscito a raccogliere. Tutto quello che avevamo è stato venduto. Ho ricomposto la collezione di maglie della Mercatone Uno, in parte con alcune cose che avevamo, in parte le ho riacquistate. Voglio che questa città abbia un luogo dove ricordare il mio papà e Marco».

Tutti per uno

Una vera e propria rimpatriata, come quelle che si fanno dopo tanti anni con gli ex compagni di classe. Qui sono passati vent’anni e una differenza c’è, la maggior parte di loro ha fatto parte della vittoria di un Giro d’Italia o di un Tour de France. Se socchiudiamo gli occhi, con un po’ di immaginazione, ci sembra di vederli ancora con quell’iconica maglia gialla e la scritta Mercatone Uno sul petto, sulla schiena, sulla pelle, nel cuore… 

Saliamo le scale, arriviamo nella sala conferenze dell’attuale Center Tower. Cassani prende la parola e, come solo Davide sa fare, con il suo tono profondo e carismatico inizia a ricordare cosa sono stati per lui quei sette anni (dal 1997 al 2003, ndr).

«Non ci vediamo da anni – dice – è bellissimo ritrovarvi tutti qui e la cosa straordinaria è essere dietro la biglia di Marco, non c’è luogo migliore. Siamo qui perché Romano Cenni credette nel ciclismo in più momenti, con la Germanvox all’inizio, poi arrivò la Mercatone Uno con Bartoli, Cipollini e Casagrande. Poi terminò l’attività nel 1995 con l’arrivo della Saeco. Ma cosa succede? La Mercatone Uno ritorna nel ’97 grazie a due persone, Cenni e Luciano Pezzi. Sono loro due che uniscono le loro forze e scommettono su questo corridore romagnolo, Marco Pantani».

Ognuno il suo

La sala si è immersa in un religioso silenzio. Da qui parte un valzer di aneddoti e ricordi che rimbalzano da una sedia all’altra, ognuno ha un ricordo da condividere di Marco e di quegli anni. Si potrebbe scrivere un libro con quello che si è detto, storie che si conoscono già, ma che riportano alla mente un periodo dove il corridore più forte al mondo si chiamava Marco Pantani e vestiva la maglia della Mercatone Uno. Cassani dopo il suo intervento dice: «Qui tutti hanno un ricordo di Marco, chi vuole lo condivida». 

Martinelli incalzato da Davide lo raggiunge: «Io qui ho imparato a fare il diesse e le dinamiche di una squadra di alto livello grazie ai consigli di Luciano Pezzi e di Franco Cornacchia. Su Marco potrei parlare per ore, mi ricordo che non ero sicuro che volesse partire per il Tour dopo il Giro d’Italia vinto nel ’98. Lo andai a prendere a Cesenatico e finché non arrivammo alla partenza in Irlanda non ci credetti veramente.

«Si era allenato come una bestia – salta su Roberto Conti – mi ricordo che ci fermammo ad una fontana a Rimini e Marco chiese a me e a Siboni: «Ragazzi se vado al Tour secondo voi quanto faccio?». Noi rispondemmo: «Potresti arrivare sul podio, magari terzo». Inutile dire che si arrabbio parecchio con noi e ci disse che sarebbe andato solo per vincere».

Le voci si susseguono, ognuno ha qualcosa da raccontare. Maini e la mantellina sul Galibier, Conti sulla Marmolada, Coppolillo e le sue sfide da dilettante, Borra e la ripresa dall’infortunio del ’95. Agostini da compagno di scuola, il meccanico “Falco“ e le sue regolazione sulla Bianchi del Pirata. Racconti ed emozioni di chi quegli anni li ha vissuti in prima persona.

La biglia

“Il mio Pantani, i miei Campioni”, questo è il titolo del memoriale inaugurato oggi, nonché titolo del libro di Romano Cenni a cura di Beppe Conti. Appena ci affacciamo vediamo un’ampolla, con all’interno centinaia di biglie di Marco Pantani come quella fuori. Un ricordo semplice, ma dal significato senza limiti.  

Un intero piano dedicato alla memoria di Cenni e Pantani, maglie appese che ripercorrono gli inizi e le imprese. Le bici che si sono arrampicate sulle salite più importanti d’Europa. Prime pagine di giornale con i titoli che ancora oggi se letti fanno venire i brividi. Un viaggio tra i ricordi di due delle persone che hanno reso speciale una squadra e un periodo del ciclismo in tutto il mondo. Un viaggio per tutti.

Così da ieri, chi percorre l’A14 in direzione Ancona e si trova la mastodontica biglia rossa di Marco Pantani sulla destra, può rallentare ed entrare per vivere quei ricordi e portarsi a casa la sua di biglia per custodirla gelosamente, sapendo che è molto di più di un giocattolo per bambini.