Alla vigilia della Doyenne, in un hotel nel centro di Liegi, Marion Rousse ha incontrato la stampa per fare il punto della situazione. Trentadue anni, atleta dal 2010 al 2015, al suo attivo ha la vittoria al campionato francese del 2012. I suoi tanti ruoli – organizzatrice del Tour Femmes e opinionista per la televisione pubblica – fanno della francese un prezioso interlocutore. E come tale, ecco le sue parole sui vari aspetti del ciclismo con cui ha quotidianamente a che fare, ricordando che oltre le cariche professionali, Marion è anche la compagna di Julian Alaphilippe e la madre di suo figlio Nino.
Su classiche e donne
«Questa primavera – ha detto Rousse – non ci siamo annoiati un attimo. Abbiamo assistito a grandi corse e sempre con vincitori diversi. Lotte Kopecky è stata fortissima al Giro delle Fiandre. Alison Jackson ci ha sorpreso alla Roubaix. Infine nelle Ardenne abbiamo visto Demi Vollering fare un altro passo avanti. E’ stato un piacere commentare le loro imprese. La nuova generazione sta lasciando un segno sempre più profondo. I nomi emersi nel Tour de France Femmes dello scorso anno sono diventate i riferimenti in gruppo. Vollering non ha usurpato il titolo di regina delle classiche. E’ sicura di sé e lo dimostra sulla bici».
Sui progressi di Kopecky
«Conosciamo Lotte da parecchio tempo. La sua qualità principale – ha approfondito Rousse – era lo spunto veloce, ma da quegli inizi è diventata una campionessa con più armi a disposizione. Ora può davvero gestire più situazioni. Il fatto di aver tenuto testa a una specialista come Vollering alle Strade Bianche è stata la conferma che può brillare su tutti i terreni. Ma quello che mi ha colpito di più è stato come si è comportata alla Nokere Koerse, poco dopo un dramma personale (la morte del fratello Seppe, ndr). Ha dimostrato di essere una campionessa anche mentalmente e questo rafforza la mia convinzione che con lei ne vedremo ancora delle belle».
Sulla SD Worx
«Pogacar ha vinto molto nelle gare maschili – ha sorriso – ma la SD Worx ha due atlete come Vollering e Kopecky che sono spesso favorite, senza che le gare diventino noiose. La loro squadra non controlla la corsa per colpire solo sull’ultima salita. Prendono in mano la situazione e danno fuoco alle polveri a 100 chilometri dal traguardo. In testa alle corse ci sono continui capovolgimenti e anche scenari diversi. Non ho dubbi nel dire che le corse oggi sono più spettacolari».
Sul Tour Femmes
«Siamo riusciti a trasformare il Tour de France Femmes dell’anno scorso – ha detto con orgoglio – nella quarta parte di una serie televisiva (sorridendo, ndr). Dopo tre settimane di Tour maschile, il pubblico si è fatto coinvolgere nel Tour delle donne come fosse la quarta settimana del precedente. Abbiamo raggiunto oltre 20 milioni di spettatori. Questo è un grande passo. Ora dobbiamo stare attenti, perché non vogliamo che la corsa cresca più velocemente del movimento stesso. Vogliamo continuare a lavorare e lasciare che il Tour de France Femmes cresca in modo da trasformare le ragazze in eroine per un pubblico molto vasto».
Sugli uomini imbattibili
«Questi grandi corridori – ha detto Rousse – rendono le cose molto più facili per noi commentatori, rispetto a prima. Succede sempre qualcosa, a 100 chilometri dal traguardo la corsa è già tutta per aria. Pogacar si è distinto più degli altri, ma ci sono uomini come Evenepoel, Van der Poel e Van Aert che non sono da meno. Così vedi corridori come Pedersen o Asgreen che si rendono conto di essere leggermente meno forti e allora devono inventarsi ogni volta qualcosa per vincere. Questo offre scenari eccezionali e siamo fortunati a poterli vivere. I campioni di oggi hanno temperamento e questo rende fantastico il lavoro dei commentatori».
Sulle cadute rovinose
«Durante la Liegi-Bastogne-Liegi dello scorso anno – ha ammesso con una punta di dolore – quando Julian è caduto, per la prima volta non sono riuscita a mettere da parte le mie emozioni. Quando senti al telefono un dottore che piange, sai che è una cosa seria. Il fatto che i corridori continuino sempre a limare rende le gare sempre più pericolose. C’è sempre meno rispetto e più irritazione. La pressione sta aumentando perché si spendono più soldi e anche gli sponsor si aspettano risultati. Nei punti decisivi della gara, tutti vogliono essere davanti. Questo tipo di pressione non era così 20 anni fa. Il ciclismo è già uno sport tanto duro fisicamente, ma oggi è diventato faticoso anche mentalmente. Ne ho un ottimo esempio a casa. Per essere un campione in bicicletta, non devi più solo essere in grado di pedalare forte. E’ diventato un mondo difficile».