Un sogno che si avvera, ma costruito passo dopo passo con gavetta, passione e sacrificio. Così Francesco Frassi, direttore sportivo toscano, sintetizza il cammino che dalla realtà familiare della ASD Monte Pisano di qualche anno fa, lo ha portato, dalla prossima stagione, sull’ammiraglia della Israel-Premier Tech. Il passaggio rappresenta un’evoluzione naturale, dopo gli anni intensi e ricchi di sfide alla guida della Corratec-Vini Fantini, squadra che invece gli ha aperto le porte del professionismo.
Una carriera iniziata per passione, portando giovani talenti alle gare, e consolidata con ruoli man mano più importanti. Francesco, per esempio, è stato commissario tecnico della nazionale albanese, con cui ha colto successi storici. Frassi entra in una dimensione completamente diversa, quella di una “quasi” WorldTour dove competenza, organizzazione e internazionalità sono ai massimi livelli (in apertura foto @niccolo_lucarini).
Francesco dopo tanti anni di gavetta, finalmente approdi in una squadra importante. Come vivi questo cambiamento?
Mi sembra quasi irreale. Ho cominciato per pura passione, con mio padre Roberto, nella Monte Pisano, una squadra che seguivamo nei weekend sacrificando tutto il tempo libero. Non avrei mai immaginato di fare il direttore sportivo. Ma è bastato quel primo giorno con i bambini della Monte Pisano per innamorarmi.
Passione pura…
Ho fatto il mio percorso passo dopo passo: dalla gestione di ragazzi giovanissimi alla nazionale albanese, dove ho vissuto emozioni uniche: ho fatto con loro un’Olimpiade e diversi mondiali, riuscendo persino a conquistare la medaglia di bronzo mondiale con un giovane che avevo accompagnato fin dall’inizio. Ogni categoria ha avuto il suo fascino, ma oggi sono in un mondo completamente diverso.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza con la Corratec-Vini Fantini?
Alla Corratec ho vissuto un’esperienza totalizzante. Non avevamo grandi risorse e dovevo coprire più ruoli: direttore sportivo, organizzatore, persino meccanico quando serviva. È stato faticoso, ma formativo. Ho dato tutto, lavorando senza orari, spesso fino a notte inoltrata. Questo impegno mi ha permesso di crescere. E oggi posso dire che ogni difficoltà affrontata è stata una lezione preziosa. Con la Corratec mi sono lasciato in ottimi rapporti: sono grato a loro per avermi dato l’opportunità di fare esperienza in una realtà professionistica.
Come è nata l’opportunità con Israel-Premier Tech?
Un po’ per caso, direi. Ho sempre avuto un buon rapporto con Ivano e Christian Fanini, che in passato avevano parlato bene di me a Kjell Carlstrom (team manager della Israel-Premier Tech, ndr). Poi, a novembre, è arrivata una telefonata: stavano cercando un direttore sportivo. Da lì è iniziato tutto. Ho fatto diversi colloqui e alla fine mi hanno scelto. È stato un processo trasparente anche con la Corratec.
Cioè?
Loro sono stati incredibili. Mi hanno sostenuto, permettendomi di portare avanti la trattativa con serenità. Mi hanno detto: «Se hai questa opportunità vai. Provaci. E se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto sai che qui hai un posto». In tanti anni devo ringraziare Angelo Citracca che ai tempi della Vini Zabù mi ha fatto esordire nel professionismo, a Serge Parsani per questo ultimo periodo. Lascio una squadra piccola, ma una bella famiglia.
Quali saranno le tue principali responsabilità nel nuovo team?
La mia sarà una posizione più settoriale rispetto al passato. Quindi sarò più diesse nel vero senso della parola. Israel-Premier Tech è una squadra estremamente organizzata e il livello di professionalità che ho trovato è impressionante.
Chiaro, in Corratec come dicevi, dovevi svolgere più mansioni…
Ho già partecipato a riunioni con il team e conosciuto alcuni colleghi: mi hanno colpito sia la competenza tecnica sia l’umanità di persone come Carlstrom e Steve Bauer. A breve sarò in ritiro con la squadra, dove pianificheremo i primi dettagli della stagione. E lì davvero entrerò nel sistema.
È una squadra senza direttori sportivi italiani. Come vivi questo aspetto?
È vero, sarò l’unico italiano tra i direttori sportivi, ma nello staff ci sono persone che conosco bene: i fratelli Dizio, Paolo Zaggia, il meccanico Tonin, il massaggiatore Christian Valente… Se ho contato bene dello staff ci sono 13 italiani. È un ambiente molto internazionale, e questa è una delle cose che mi affascinano di più. Confrontarmi con culture e approcci diversi è una sfida stimolante, anche se richiede un periodo di adattamento.
Cosa ti aspetti dai corridori che seguirai? E soprattutto sai già chi seguirai? Ti spaventa un po’?
Il livello è altissimo e questo mi entusiasma. Parliamo di corridori come Derek Gee, protagonista al Giro d’Italia e al Tour, Hirt, Lutsenko, Woods, Fuglsang, Froome e giovani talenti come Blackmore, Strong, che hanno già dimostrato grande qualità. Il focus sarà sempre sul risultato, ma ciò che mi piace del ciclismo è il rapporto umano con gli atleti. Anche a questo livello, credo che la fiducia reciproca sia fondamentale per ottenere il meglio.
Però c’è anche un italiano: Marco Frigo… speriamo sia il suo anno.
Beh, lui me lo ricordo anche nelle corse che ho fatto e al Giro d’Italia, quando è andato in fuga. O questa estate l’ho visto – dalla tv – alla Vuelta. Lì è andato davvero forte. Marco è un gran bell’atleta: il motore per far bene ce l’ha. Magari deve migliorare qualcosina ancora, ma potrà emergere… il che sarebbe bello anche per il ciclismo italiano.
Quali sono le tue sensazioni per questa nuova avventura? C’è qualcosa che ti spaventa e qualcosa che invece ti piace?
Sono emozionato, ma anche consapevole delle difficoltà. Entrare in una squadra World Tour è come iniziare da zero in un certo senso. Mi sento pronto per questa sfida e voglio dare il massimo. Magari sarà più complicato essere l’unico diesse italiano, come accennavo prima, mentre mi piace molto questa internazionalità del team. Alla fine, è il coronamento di un percorso fatto di sacrificio e passione.