Sono passati otto anni da quando Oscar Gatto firmò la prima ed unica vittoria italiana alla Dwars door Vlaanderen. Altri interpreti, altro ciclismo, ma stesse strade e stessi muri.
La traduzione di questo evento è Attraverso le Fiandre, il che è già un bel biglietto da visita. Antipasto di quel che è poi il grande giorno dei fiamminghi: la Ronde.
Oscar, sei l’unico italiano nell’albo d’oro di questa classica che comunque vanta una lunga storia (domani si corre l’edizione numero 76)…
Il buon Pippo Pozzato mi diceva: ci credo che l’hai vinta tu. I big non se la filano! Però fu ugualmente una grande soddisfazione.
Ma nooo! E poi almeno adesso non è così. Ad ogni gara ci sono “tanti cani che si avventano sull’osso”…
Vero, ma credo che la Dwars abbia un’altra collocazione nel calendario che l’agevola. Prima se non ricordo male c’era De Panne negli stessi giorni.
Cosa ricordi di quel giorno?
Che faceva un freddo tremendo. Si diceva volessero addirittura annullarla per neve. Di sicuro partimmo con il termometro sotto zero. Cadeva una sorta di pioggia ghiacciata, mista a neve. A me tutto sommato andava bene, ho sempre preferito il freddo al caldo. Ma certo forse così era troppo. Siamo partiti a tutta e alla fine eravamo un gruppetto ristretto. Sapete, con un freddo del genere in molti sono già battuti in partenza. Ci fu una vera selezione naturale.
Come andò la gara?
Restammo una decina davanti. Ad un paio di chilometri dall’arrivo scattò Voeckler. E andò via bene. Ad un certo punto Ian Stannard, che tirava per un suo compagno, diede una menata pazzesca e riuscì a riportaci sotto. Però Thomas era ancora lì davanti. Arrivammo nel rettilineo finale, che tirava anche un po’ in salita, e mi dissi: qui per vincere devo partire lungo. Così ai 300 metri scattai. Rischiai tantissimo, ma alla fine riuscii a vincere. Voeckler l’avrò saltato negli ultimi 20 metri, non di più. Che poi su un arrivo così, al contrario si sarebbe dovuto partire il più tardi possibile, sarebbe servita una volata corta.
Se il rettilineo finale non avesse tirato un po’ magari T-Blanc sarebbe arrivato…
No magari, sicuro sarebbe arrivato. Per questo sono partito lungo.
Però hai ragionato: sei sempre rimasto freddo?
Ad un certo punto quando è partito Voeckler ho detto: ciao, questa è andata. Per fortuna ha chiuso Stannard. Ma c’erano altri corridori veloci, come Bozic. Anche se a quel punto contavano le energie rimaste. Andò bene dai…
Domani tocca ai tuoi ex colleghi: che consiglio gli daresti per questa gara? Che corsa è? Si può paragonare ad un Fiandre?
Paragonarla ad un Fiandre non si può. Lì la corsa inizia dopo 200 chilometri alla Dwars ci finisce. Però ne riprende molti tratti e alla fine ne esce un percorso tosto che nel finale vede arrivare quasi sempre dei gruppetti.
Ma il modo di correre è un po’ lo stesso del Fiandre?
Sì. Ci sono da fare le volate per prendere i muri davanti e come in tutte le corse in Belgio serve ancora più attenzione, già dalla partenza. Per esempio ci sono molti paletti a bordo strada, si fanno dei tratti cementati in cui in mezzo c’è la fessura che in alcuni casi è molto insidiosa, c’è nervosismo. Devi sempre avere cento occhi.
Prendere i muri davanti resta centrale?
Il problema non è prenderne uno dietro, il problema è che poi dopo 5 chilometri magari ce n’è subito un altro ed ecco che ti ritrovi ad inseguire, a spingere, a fare l’elastico. Quando fai la riunione stabilisci la tua tattica, scegli un punto cruciale e ti dici: da qui in poi si deve stare davanti. Poi magari le cose non vanno così, però già metà del lavoro l’hai impostata.
Domanda da cicloamatore: a che velocità si fanno i muri?
Sapete che non ne ho la più pallida idea. In ogni caso il problema non è tanto nel tratto duro, ma quando spiana in cima. Penso al Kwaremont. Lì si mette subito il 53 e via. Perché comunque la vera differenza non la fai sul muro, ma quando questo finisce. Chi ha gamba mette su il rapporto e scappa via. Chi non ce l’ha resta lì. Fa più differenza una salita “pedalabile” che lo Zoncolan. Lo stesso dopo i muri: chi ha forza va a 30 all’ora e chi non ce l’ha va a 20.
Queste gare sono anche dei test per i materiali?
Di base sai già cosa usare, ma sei hai qualche dubbio sì: sono ideali. Noi intervenivamo sulle ruote sostanzialmente. E utilizzando tubolari da 25 millimetri, se non da 27, si scendeva molto con la pressione. Ma sapete cosa faceva davvero la differenza?
Cosa?
Avere vicino un uomo esperto. Noi alla Vini Farnese avevamo Kevin Hulsmasn. Lui, belga, conosceva ogni metro di quelle strade. Ti diceva: adesso vai tranquillo. Poi ad un certo punto veniva a prenderti e ti diceva: mettiti a ruota e passando chissà dove ti riportava davanti e puntualmente in quell’istante succedeva qualcosa. Loro ci crescono su quelle strade, ci corrono da bambini. Anche con il vento ci sanno fare.
Ultima domanda: come avete festeggiato la tua vittoria alla Dwars?
Come sempre dopo la corsa c’è il fuggi, fuggi. Si tornava in Italia, ricordo. E si andava all’aeroporto. Sbagliarono il mio biglietto e rimasi lì! Ma prima di scappare prendemmo una birra sul bus. Si era in periodo di gare, tra l’altro le mie gare, e più di tanto non ci si poteva lasciare andare.