Da quest’anno, fra le voci del ciclismo su Eurosport è atterrata quella di Moreno Moser ed è innegabile che abbia portato una bella ventata di freschezza e tecnica, forte soprattutto dei contatti con quelli che fino a ieri erano colleghi e oggi sono ancora ottimi amici. Così alcune sue parole nei primi giorni del Giro hanno preso a risuonarci nella testa, finché approfittando di un momento di stanca della corsa, lo abbiamo chiamato. Il suo discorso verteva sul fatto che il lavoro del corridore sia duro e non per tutti. E se qualcuno smette anzitempo, è perché non ne regge il carico.
Prima Dumoulin. Poi casi di cui pochi sono al corrente, come quello dell’olimpionica di mountain bike Jenny Rissveds. Quindi Visconti. E adesso Nibali (in apertura con Moreno, alla Tirreno del 2013). Casi diversi ed età diverse, ma con un denominatore comune.
Che cosa sta succedendo, secondo Moreno Moser?
Si va sempre più forte e ci si deve adattare. E’ così. Ci si allena tanto più forte, ti adatti per sopravvivenza.
E’ l’unico modo possibile?
Quello che mi diceva Bettiol è che ormai è così totalizzante, che devi prendere questo lavoro per step. Da qui al Tour non esisto più, sono un robot. La vita è solo quella della bici e dell’allenamento. Il recupero si farà dopo. Poi ci sono corridori come Van Aert, che riescono a durare tutto l’anno, ma lui è un caso a parte…
Perché?
Avete visto nel suo Strava cosa ha fatto il giorno dopo la Sanremo? E’ andato a correre per 6 chilometri nella ciclabile di Sanremo e anche a buon passo, ma lui è un’eccezione. Di sicuro non puoi più fare come prima, che arrivavi alle gare per allenarti. Mentre è un fatto che in allenamento si va più forte.
Hai avuto conferme dai corridori?
Da loro, ma anche da Maurizio Mazzoleni (il preparatore della Astana Qazaqstan Team, ndr) che mi diceva di aver dovuto cambiare i tempi di percorrenza dei vari giri di allenamento. Oggi lo stesso giro si fa parecchio più forte, mentre quando correvo io, andavi in bici, facevi i tuoi lavori e non guardavi a che media tornavi a casa. Formolo ad esempio mi dice che quasi non fa più lavori, stessa cosa per Pogacar. Visto il lavoro di Giorgio Brambilla su GCN sulla preparazione di Van der Poel prima della Sanremo?
Cosa ha fatto di particolare?
Si è messo a guardare quello che Mathieu ha caricato su Strava prima della Classicissima, dato che lui mette davvero tutto. Ed è venuto fuori che oggi un amatore farebbe più lavori specifici. E’ la nuova tendenza, ci si allena tanto forte. E poi in gara è fuori di testa…
Normale che si corra anche meno, quindi?
Nel 2014 e 2015 ho fatto sugli 85 giorni di corsa, oggi sarebbe impensabile farne più di 60. Tanto che a livello internazionale è stato messo il limite di 65 giorni di corsa all’anno. Ma anche volendo, non ce la faresti a fare di più. In realtà, questo Giro è cominciato all’antica…
Vero, c’è più calma…
Partono come una volta. Lasciano andare la fuga. Poi quando aprono nei finali, vedi scatti e azioni più importanti. La Roubaix e la Liegi che ho commentato, invece, sono state gare a sfinimento. Un gioco a chi si spegneva più tardi.
E’ cambiato tutto nel 2020, quando ogni gara sembrava fosse l’ultima…
Può essere un’analisi giusta. Il Giro però ci dice che la situazione si sta normalizzando, ora che il Covid fa meno paura e i calendari sono stabili. Anche Van der Poel e Van Aert ormai hanno imparato a correre. Quegli attacchi erano bellissimi, ma adesso Van der Poel ha iniziato a ottimizzare le risorse.
Pozzovivo ha detto che correre contro questi ragazzi lo ha costretto ad alzare l’asticella e chi ha smesso non ha saputo adattarsi.
Questa analisi fatta da un corridore come Pozzo è pazzesca. Ripensate le dichiarazioni di Nibali al Giro del 2020: «Io sono sui miei valori migliori, ma non bastano». E’ vero, perché ogni anno si va più forte. Pozzovivo dice una cosa giusta. Se tutti crescono, il solo modo per restarci dentro è crescere. Mi pare che anche nel fare i programmi per i più giovani, si stabilisca da subito quale sarà l’incremento da un anno all’altro.
E se hai abitudini un po’ classiche, sei spacciato…
Noi siamo cresciuti con l’idea di fare ogni anno le stesse cose. Ricordo quello che ci dicevano Basso e anche Nibali. Facendo le stesse cose, che avevano dato i loro frutti, si poteva essere sicuri che si sarebbe andati forte. Se faccio così, arrivo al mio livello. Non c’era la visione di oggi. Guardandosi intorno, uno che ha anticipato questa tendenza è Valverde.
Per il suo modo di allenarsi?
Esatto, mi diceva Luis Leon Sanchez che Alejandro non ha mai fatto lavori. Ha il suo gruppo di amatori e si allenano ogni volta a tutta (il racconto conferma quanto detto giorni fa da Visconti, ndr). Al punto che certi giorni bloccano gli incroci, perché si possa correre indisturbati. Ma allo stesso tempo, Valverde è la bandiera dell’andare in bici divertendosi, non del fare lavori come andando in fabbrica.
Comprensibile, si rischia prima o poi di raggiungere il limite di rottura.
Il limite di rottura è che i corridori durino poco. Sento manager e procuratori rassegnati davanti a questa realtà. Di certo carriere come quella di Nibali o di Valverde saranno sempre più difficili da vedere.