MILANO BICOCCA – Il quartier generale di Pirelli è una città nella città. All’esterno ci sono l’Università e l’ospedale Niguarda, ma quando varchi l’ingresso dell’azienda che produce le gomme per la Formula Uno e vieni dotato del tuo badge, capisci di essere in una dimensione a parte. Qui lavorano 1.200 persone, in un ambiente che ti fa quasi venire voglia di farne parte. Dopo la pandemia e la diffusione dello smart working difficilmente li trovi tutti insieme, ma nei vialetti del giardino all’ora di pranzo c’è un vivace andirivieni per la mensa. Siamo qui per osservare, conoscere e capire. Oltre alle gomme per le monoposto più veloci e le auto di lusso, qui si studiano anche le coperture per le bici di alta gamma: strada, gravel e mountain bike. Ed è curioso capire in che modo le due tecnologie possano convivere.
Inizia un viaggio di tre puntate nel mondo Pirelli. In questo primo articolo vi diremo del quartier generale di Bicocca. Poi ci sposteremo nello stabilimento di Bollate, dove le gomme vengono prodotte. Infine, facendo un ideale passo indietro, vi racconteremo della Fondazione Pirelli: luogo di storia, memoria e cultura.
Il quartier generale
A Bicocca ci sono gli uffici e i laboratori: questo è il cuore dell’azienda. Tutti i reparti sono trasversali e coordinati da specifiche sezioni di ricerca e sviluppo. Messa da parte la Formula Uno, che per forza di cose è una nicchia sia pure molto importante, il cuore della produzione è occupato dalle gomme per auto di lusso. Te ne rendi conto quando entri nell’area dei laboratori, dove è vietato fare foto e semmai ce le darà l’ufficio stampa. Si possono fare domande, ma dato l’alto tasso di… interesse fra aziende concorrenti, la macchina fotografica resta nello zaino. Ci fa da guida Samuele Bressan, una storia da designer che, dopo un’immersione nel mondo del ciclo e sue aziende, è entrato in Pirelli nel mondo tyre ed è Head of Global Marketing della divisione ciclismo.
Qui si opera per lo sviluppo della materia prima, con produzione minima di provini di mescole per eseguire i test necessari. Si provano le proprietà chimiche, innanzitutto, per controllare che si rispettino gli indicatori di prestazione e le proprietà. Come in tutte le aziende di settore, si lavora anche con il cosiddetto reverse engineering. Si studiano cioè le gomme dei concorrenti, con macchine che eseguono scansioni per evidenziarne le proprietà. E mentre al piano in cui ci troviamo vengono eseguite le prove statiche, al meno 2 si svolgono i test dinamici.
Hookless, perché no
I macchinari per le prime hanno funzionamento intuitivo e permettono già di intuire il comportamento della gomma e l’effettiva bontà della sua realizzazione.
Il profilometro ha un laser che gira attorno alla gomma e offre il profilo in gonfiata per studiare la pressione in base alla tipologia del cerchio. Nel caso di gomme per la Mtb uno degli aspetti che si valutano è l’inclinazione del tassello laterale. Per farlo si utilizzano cerchi in commercio, ma ancora di più quelli da laboratorio (detti da “sala macchine”) che sono ben più pesanti e non hanno deformazioni.
La macchina per lo studio del tallone ha elementi che spingono concentricamente verso l’esterno. Espandono la gomma e generano il grafico della deformazione del materiale, utile sia come collaudo che come messa a punto. In questo caso si riesce ad esempio a lavorare sulla pressione di scoppio. Il tallone che si dilata sale lungo il profilo interno del cerchio e più sale e più spinge verso l’esterno. La deformazione della spalla è una voce importante proprio nel ciclismo, dato che il montaggio a mano amplia la dilatazione. In teoria, questo studio renderebbe possibile la produzione della gomma perfetta per ciascun cerchio, ma vista poi la difficoltà di venderli in accoppiamento esclusivo, il discorso diventa utopico prima ancora di essere affrontato. Ed è il motivo per cui l’utilizzo generalizzato di cerchi hookless resta inaffidabile, non potendo contare sull’accoppiamento perfetto.
Pressioni da moto
Grazie al banco ottico si ricava l’impronta della gomma a terra: con la possibilità di valutare il passo fra gli intagli del battistrada. L’immagine ha colori diversi in base alla pressione del singolo punto. Il giallo denota la pressione maggiore e da questa mappa cromatica si evidenzia quanto sia mediamente elevata la pressione su una gomma da bici rispetto a quella di un’auto. L’impronta della bici è tutta gialla, mentre l’auto ha anche dei punti azzurri, quindi più… scarichi. Questo fa capire che nel realizzare la mescola per un copertoncino da corsa sia necessario avere una grande resistenza meccanica, al pari di quanto avviene per costruire la gomma anteriore di una moto.
Lo strumento che misura le rigidezze, con la gomma montata su un mandrino e il banco che si muove e genera pressione, produce il grafico della resistenza della gomma: la sua risposta alla sollecitazione. Questo permette a chi fa le mescole di avere i paramenti da confrontare con l’esito dei test outdoor che si svolgono nella pista di Giarre, ai piedi dell’Etna. Ne abbiamo parlato a proposito dello sviluppo dei P ZERO Race, ricodate? Qui infatti si incontrano le condizioni ambientali più disparate eppure ripetibili affinché il test, su bici strumentate e grazie alla sensibilità di chi le usa, siano confrontabili con quelli di laboratorio.
Gli stessi standard
Al piano di sotto, le gomme lavorano sul serio. Senza entrare troppo nel mondo della fisica, affinché un test sia credibile occorre che si svolga in un ambiente isolato, che non risenta cioè della presenza degli elementi circostanti. Per questo tutte le stazioni di test poggiano su una base di elastomeri che si trova al piano inferiore e permette alla stazione stessa di non risentire ad esempio della rigidità del pavimento. Qui si prova veramente di tutto.
Si passa da una sala insonorizzata – semi anecoica, perché il pavimento non è privo di eco – in cui si misura il rumore del rotolamento della gomma a terra. La valutazione viene effettuata sulla singola gomma, ma anche sul veicolo intero, registrando la rumorosità al suo interno. Per questo, dentro le gomme per auto di alta gamma, vengono montate delle spugne insonorizzanti con la tecnologia del PNCSTM Pirelli Noise Cancelling System, che dimezza la rumorosità dell’auto.
Nella stazione di endurance, la gomma gira con un rullo che le impone la velocità. Sono test di integrità, che evidenziano la tenuta della struttura. Può capitare che alla fine dei cicli impostati, la gomma esternamente risulti integra, ma la carcassa sia eccessivamente stressata. Il dettaglio che colpisce è che qualsiasi gomma Pirelli deve sottostare agli stessi standard, che sia per auto di lusso come pure per la bicicletta da corsa.
Simulatore per bici
Una delle stazioni che meno ha a che fare con la bici (anche se si sta lavorando per costruirne una su misura) è il simulatore, in cui la gomma gira su un nastro che sterza, si inclina, slitta e mette a punto i dati che la Formula Uno utilizzerà per il simulatore di guida in 3D e poi nei test effettivi. Non potendo più effettuarne in numero illimitato, si cerca di riprodurre tutte le variabili in laboratorio e gli scarti con il mondo reale sono davvero minimi, permettendo di fare meno prove in fase di progettazione. Presto una stazione così ci sarà anche per le biciclette.
Nell’ultima stazione, un laser misura la temperatura di alcuni punti della gomma durante il rotolamento. Lo studio delle temperature permette di lavorare sull’impatto del rotolamento sull’ambiente.
Memorie del passato
Qui si costruivano le gomme. E le gomme dopo essere stata lavorate dovevano raffreddarsi, per cui a partire dal 1950 venne realizzata la torre di raffreddamento in cui si recuperava il vapore necessario alla produzione degli pneumatici. Oggi la torre c’è ancora, ma è diventata auditorium, sala riunioni e spazio per eventi. E’ stata rinchiusa in un cubo di cristallo e cemento che la rende visibile da lontano e ne mantiene vivo il ricordo. Fa tutto parte della riqualificazione dell’area, che fa di questo posto anche un luogo di cultura.
Della produzione parleremo nel prossimo articolo, visitando lo stabilimento di Bollate. Per ora ci aspetta il pranzo in mensa, che ha due livelli e ti fa venir voglia di prenotare e portarci la famiglia.