Come un fiume che spinge per trovare la strada, Pozzato si divide fra Monaco e la Toscana, il Veneto e le sue idee, cercando di portare avanti tutto nel modo migliore. Carne al fuoco ne ha tanta: qualcosa si può dire e qualcosa no, in attesa che giunga a cottura. Il primo progetto cui sta lavorando è l’organizzazione di una corsa WorldTour sul percorso del campionato italiano.
«Ma l’Uci non dà la qualifica al primo anno – spiega – e il tricolore non è un precedente perché era una gara nazionale. So che Di Rocco ci sta lavorando. So che Lappartient ha in mano il fascicolo. Ma si deve aspettare. E non costa neanche poco, parliamo di 300 mila euro per la licenza…».
Dalla sua scrivania, ma anche sulla sella della bici da cui intesse le sue relazioni (nel momento in cui leggerete questa intervista, realizzata di buon mattino, immaginatelo pedalare con il suo amico Johnny Moletta e Nicola Baggio, direttore generale di Selle Italia), il vicentino ha osservato la stagione conclusa. E si è fatto un’idea di quello che si è mosso sotto il cielo del ciclismo.
Qual è stato secondo Pozzato il bello del 2020?
Nonostante le polemiche, il ciclismo ne è uscito vincitore, concretizzando tutto in pochi mesi. Mettere in piedi la stagione non era facile. Ho visto le difficoltà del campionato italiano, tanto che a un certo punto avevamo pensato di rinunciare. Non oso immaginare che cosa abbia significato organizzare 21 giorni di Giro d’Italia fra trasferimenti, corsa e logistica.
E il brutto?
Il fatto che sia stata una stagione falsata, per chi non ha saputo prepararsi in così poco tempo. Però ha vinto chi doveva vincere, i più forti sono venuti fuori. Ed è evidente che il mondo sia cambiato.
In quale direzione?
Questi ragazzi hanno un sistema di lavoro impostato da quando sono piccoli. Ma non durano, secondo me. Li finiscono mentalmente. Cominciano da subito e sono sempre competitivi. Arrivano alla prima corsa tirati a lucido. Io ho vinto un Laigueglia con 4 chili di troppo. Mi sono staccato in salita, sono rientrato in discesa e ho vinto lo sprint. Oggi non sarebbe possibile.
Perché?
Il ciclismo è cambiato. Un giovane che ha qualità vere può emergere subito e mi fanno impazzire i miei ex colleghi che lamentano l’assenza di talenti. Oggi ci sono 50 corridori che vanno tutti forte. I numeri parlano chiaro. Non spiegheranno il mondo, ma non mentono.
Quindi Nibali ha ragione?
Con Vincenzo parlavo di questo anche l’anno scorso. Mi diceva: «Sono magro come quando ho vinto il Tour e ho gli stessi valori. Scatto in salita, mi giro e ce ne sono ancora 15». E’ un fatto. Come è un fatto che prima di Sky gli inglesi erano la 42ª Nazione del ranking e oggi sono quarti. Li prendevano tutti in giro. Gli dicevano che non si vince il Tour con le parabole. A distanza di 10 anni, si sono tutti adeguati. Chi più chi meno, con più o meno intelligenza.
Ad esempio?
Ad esempio la Quick Step è l’espressione del tradizionalismo. Però Lefevere ha fiutato l’aria e ha cambiato mentalità. Oggi vincono tanto spendendo meno di Ineos, ma avendo adottato schemi di lavoro simili. Se avessero lo stesso budget sai quanto vincerebbero? Hanno saputo imporsi in tutte le epoche. E intanto il gruppo dei vincenti si è allargato.
E’ la mondializzazione?
Esatto. Ineos ha vinto il Giro, il Tour e la Vuelta con quattro inglesi diversi e un colombiano. Wiggins, Froome, Thomas, Bernal e Geoghegan Hart. Gli americani una volta avevano solo Armstrong. Gli australiani solo Phil Anderson. Aspetto che vengano fuori gli atleti di colore, giusto il tempo che qualcuno inizi a farli lavorare sulla tecnica. E poi i cinesi. Al momento nessuno ci pensa, ma avete visto quante corse si fanno da quelle parti? Le generazioni stanno cambiando…
Fisicamente o cosa?
Vanno forte in salita i corridori di 1,80. Ci sono cambiamenti fisici, è l’evoluzione della specie. Nell’inseguimento individuale, il tempo con cui quattro anni fa si vinceva un mondiale, adesso non va bene nemmeno per la semifinale. Per andare a 65 all’ora a quel modo si deve avere forza. Non vanno agili, fanno girare il lungo rapporto. E tanto dipende dal modo in cui si allenano.
Sono cambiate anche le preparazioni, infatti.
Giusto. Io partivo da casa e facevo 20 minuti al medio per scaldarmi. Due ripetute. Un po’ di lavori fuori soglia. Arrivavo in cima. Mangiavo un panino e tornavo. Poi andavo alle corse e ne bastavano un paio per andare forte. Oggi in corsa non ti alleni più. Oggi anche Bettini avrebbe problemi se si allenasse come faceva lui.
In Italia il cambiamento è stato recepito?
A Di Rocco dico spesso che i direttori sportivi non hanno capito bene. E’ possibile che ancora oggi Villa abbia problemi a farsi dare i corridori per la pista? Si sono accorti che i vincitori del Tour vengono dalla pista? Vogliamo fare finalmente il bene dei ragazzi? Le continental servono per far crescere il corridore e fare un’attività qualificata. Invece puntano alle corsette del martedì.
Ma anche Pozzato è in una continental: la Beltrami, giusto?
E spesso discutiamo, anche forte. Il mio riferimento è la Seg Academy olandese, ma non c’è verso. Continuo a vedere in giro sponsor che fanno le squadre solo vantarsi delle vittorie. Cinquant’anni fa poteva funzionare, oggi non più. Il direttore sportivo deve curare l’aspetto umano, ci mancherebbe, ma anche considerare che oggi si ragiona soprattutto in termini di watt e consumo di ossigeno.
Secondo Andrea Morelli del Centro Mapei non è tutto qui.
Infatti sono d’accordo, ma neanche puoi fare finta di non vedere. Pogacar ha vinto il Tour senza Srm nell’ultima crono. Ganna ha vinto il mondiale di Imola allo stesso modo, partendo forte e finendo a tutta. Ma in allenamento sono dati che servono. Il romanticismo va bene, ma da solo non basta più.
Più difficile oggi o quando correvi tu?
Oggi, tutta la vita. Non si stacca più nessuno. Quasi l’80 per cento delle corse arriva in volata: se non sei veloce, non vinci più. C’è un livello altissimo e su tutti i terreni.
Lo chiamano per andare in bici. Una cosa l’abbiamo capita. Il ciclismo pulito non è necessariamente un pedalare più lento. Il ciclismo credibile richiede un aumento esponenziale del lavoro. Ci sono controlli migliori. Strade migliori. Bici migliori. Atleti migliori. La storia va avanti. Ci si ferma appena per qualche istantanea e per elaborare il pensiero. Poi si torna a pedalare per perdere le ruote. E’ bene ragionare in prospettiva e concedersi il giusto tempo. Ma noi forse abbiamo già un buco da chiudere.