E’ da un po’ che si ragiona sulla cronometro di Tokyo e adesso che manca davvero poco per dare un peso ai pronostici, il discorso si sposta anche sul piano tecnico. Malori l’ha detto chiaro: la crono dovrebbe essere un esercizio di velocità, premiando gli specialisti e le migliori dotazioni tecniche. Se invece, come a Tokyo per la gara maschile, la crono diventa una prova di resistenza con più salite e discese che pianure, qual è l’impatto del pacchetto aerodinamico? Conta ugualmente tanto infilarsi bene nel vento?
Ai lati del casco, scorrendo via sulla schiena Il flusso riconosce la sagoma del casco e lo avviluppa, per disperdersi poi a valle La rugosità della manica, per far scorrere via l’aria dalle spalle
Vento, il primo nemico
Ci siamo voluti togliere la curiosità bussando nuovamente alla porta di Simone Omarini, responsabile prodotto di Hardskin, che fino a qualche anno fa lavorava come ingegnere meccanico presso la galleria del vento del Politecnico di Milano.
«Ovviamente – dice entrando subito nel tema – conta tanto la velocità media di cui si parla, ma anche a 40 km/h la principale resistenza all’avanzamento è aerodinamica. Se la pendenza è contenuta, facendo un bilancio energetico, ci si rende conto che la resistenza aerodinamica è il fattore più importante da vincere. Il ciclista deve fare i conti con il vento. Circa il 90 per cento dell’energia spesa dall’atleta serve a vincere la resistenza aerodinamica. E se il vento è laterale, bisogna capire in che modo si opponga all’avanzamento. Lo scopo di ogni studio e lavoro in questo campo è ridurre la resistenza aerodinamica».
Si passa sempre dalla galleria del vento?
In realtà, ci sono tre possibilità. Si può procedere con l’analisi numerica. Si può andare in galleria del vento. Oppure ricorrere a test su campo, ad esempio in velodromo.
Differenze?
Per la prima non usi l’atleta, se non per una scansione 3d iniziale in assetto da gara, ma servono computer o server di calcolo molto potenti. Inserisci l’atleta, gli “spari contro” un vento computerizzato e vedi cosa succede. Non sono simulazioni veritiere finché non sono validate in galleria del vento o in velodromo. Una volta che però hai un modello validato, puoi usarlo per valutare componenti e situazioni. o per progettare nuovi materiali
La galleria del vento?
E’ la più veritiera. Controlli il flusso, la temperatura, l’angolo di incidenza del vento. Hai tutto sotto controllo e puoi simulare le situazioni di gara. Se la galleria è anche grande abbastanza da contenere la scia a valle dell’ultimo atleta, puoi testarci un quartetto intero. Sotto all’atleta si mette una bilancia dinamometrica che permette di valutare tutte le forze e le coppie che agiscono. Tenendo conto della direzione e della velocità del vento e della densità dell’aria, si calcola la resistenza aerodinamica, moltiplicando il coefficiente di drag per l’area frontale. In velodromo queste cose puoi farle, ma spesso non hai la ripetibilità del test. Basta che cambino la temperatura, l’umidità, la resistenza e la densità dell’aria e non hai più le variabili costanti fra i vari test fatti.
Una volta che si è fatto il test base, come si procede?
Fai le varie comparazioni, misurando lo scostamento che si determina usando body, caschi, ruote e componenti diversi. Ogni atleta fa storia a sé. In questo modo ci si rende conto che lo stesso body, ad esempio, può essere più veloce su uno piuttosto che su un altro. Per questo a volte ti accorgi che lo specialista usa un materiale e lo scalatore ne usa un altro. Si parla di differenze minime, i famosi marginal gains, che richiedono di ripetere più volte il test.
Stessa cosa per il casco?
Il casco deve coniugarsi bene con la postura dell’atleta. Un corridore molto fermo e grande può usare un casco largo e con la coda lunga. Un atleta magro, che magari si muove tanto perché guarda spesso il computerino, andrà meglio con un casco senza una grande coda.
Stessa cosa per il manubrio?
Certamente, ascoltando l’atleta. Determini l’altezza delle protesi e la loro larghezza. Fai serie di spostamenti, anche significativi, ma devi sempre passare per il feedback dell’atleta. E’ lui che deve esprimere la potenza necessaria per vincere la resistenza aerodinamica e sempre lui deve guidare la bici. Per cui si studia la posizione, poi gli si dà il tempo di allenarsi e alla fine si ripete il test.
Questo significa che a volerla fare bene, si potrebbe creare un body in base alla velocità stimata?
Esattamente. Lavorando sui tessuti si può fare proprio questo. Ci sono team WorldTour che cambiano materiale in base al percorso che dovranno affrontare. E vi do per certo che è proprio l’abbigliamento che risente maggiormente delle variazioni della velocità media.
Su cosa si interviene per variare l’abbigliamento in base alla velocità?
Dato che il corpo umano è di base un corpo tozzo, coprendolo di tessuto puoi controllarne la penetrazione. Si fa variando la rugosità del tessuto. I buchetti sulla pallina da golf nascono da studi simili, perché si è capito che la pallina in quel modo è più veloce nel vento. Con i body è lo stesso. Si sceglie una velocità media e si valuta il tessuto. Se poi ci sono altri fattori, come ad esempio il grande caldo, si inseriscono fibre come il grafene che dissipano meglio il calore, soprattutto nelle crono. Per cui anche se andranno più piano, l’aerodinamica avrà certamente il suo peso. Sicuro!