Quello di Roberto Capello è stato uno dei quattro argenti (delle sei medaglie totali) conquistati dalla spedizione azzurra all’europeo in Drôme-Ardèche. Lo juniores piemontese è stato anche uno dei tanti atleti che ha disputato l’accoppiata col mondiale nello spazio di una settimana.
In Francia non ha avuto paura di attaccare nel finale di gara cogliendo un’occasione non programmata. Capello si è fatto trenta chilometri da solo prima di essere raggiunto e staccato dal tedesco Karl Herzog, suo compagno di squadra nel Team Grenke-Auto Eder.
«Un secondo posto all’europeo – ci ha ribadito Roberto – non può che essere un buon risultato per me. Ovviamente un po’ mi dispiace perché ero davanti fino alla fine, però sono contento di come è andata».
Come sono stati però i giorni per lui tra la rassegna iridata e quella continentale? Molti tecnici azzurri infatti mesi fa – guardando il calendario e i profili altimetrici dei due eventi per i quali avrebbero portato quasi gli stessi convocati – avevano già fatto luce su questo aspetto. Non solo la fatica dovuta alle gare in Rwanda, ma anche la capacità di recupero psicofisico da viaggi e trasferimenti sarebbe risultata fondamentale ai fini della prestazione all’europeo. Ecco come Capello ha vissuto quel periodo.


Programma “millemiglia”
Il reparto “agenzia viaggi” della Federciclismo ha avuto il suo bel daffare per confezionare il pacchetto per quei corridori che avrebbero corso sia mondiale che europeo. Voli intercontinentali andata e ritorno associati a trasferte via terra. La vita dell’atleta moderno in un ciclismo sempre più globale è anche questa.
«Il viaggio di rientro dal Rwanda – ci racconta Capello, astigiano di Cossombrato – è stato molto più agevole dell’andata, quando eravamo rimasti in ballo circa 30 ore. Siamo partiti da Kigali il 28 settembre con arrivo a Malpensa il mattino presto del giorno dopo, con uno scalo intermedio di tre ore ad Addis Abeba visto che abbiamo volato con la Ethiopian Airlines sia all’andata che al ritorno. Appena sono atterrato, sono andato a casa dove sono rimasto due notti.
«Il primo di ottobre – prosegue – sono passati a prendermi a casa col furgone della nazionale per andare all’europeo. Ero di strada per la Francia e abbiamo ottimizzato gli spostamenti. Insieme a me c’erano Bernardi, Del Cucina, Pegolo ed un massaggiatore, mentre sull’ammiraglia c’erano un meccanico e Dino (il cittì Salvoldi, ndr)».




Bioritmi da ritrovare
La valigia nemmeno l’ha cambiata Capello. Giusto il tempo di alleggerirla dato che all’europeo la permanenza sarebbe stata più rapida rispetto al Rwanda. Nel mezzo però c’era da ritrovare un equilibrio bioritmico che non è così facile per tutti.
«Il pomeriggio del mio arrivo a casa – spiega Roberto – l’ho fatto molto tranquillo perché nel volo verso l’Italia avevo dormito poco o nulla. Giusto una pedalata breve per riprendere in mano la bici anche perché non la toccavo dalla mia prova in linea al mondiale, quattro giorni prima.
«Il giorno successivo – continua – ho fatto un bell’allenamento di tre ore con tanta intensità. Ho simulato le salite che avrei trovato all’europeo con diversi lavori. Mi sono concentrato molto sulle salite più corte, quelle da 6-7 minuti. Due volte le ho fatte fino alla soglia, altre due volte le ho fatte a blocco, con uno sforzo massimale. I dati erano buoni ed io ho avvertito buone sensazioni. Visto che mi sentivo bene, ho fatto un paio di salitelle in più andando a migliorare i miei “kom” (dice sorridendo, ndr)».


Effetti di altura e abitudine
Una volta arrivato in Francia, il 2 ottobre Capello ha effettuato una ricognizione del percorso con i suoi compagni. Prima il circuito lungo comprendente la salita di 7 chilometri di Saint Romain de Lerps, poi il circuito corto con la côte di Val d’Enfer. Il giorno successivo la prova in linea conclusa con un bellissimo argento ed una annotazione comune non sfuggita a chi ha seguito mondiali ed europeo.
«La gara – riprende Roberto – è andata come vi ho detto. Non mi aspettavo di andare così forte, però è anche vero che ero convinto di poter fare bene. Un po’ per le sensazioni dei giorni precedenti, un po’ perché avevo visto che i corridori arrivati davanti in Rwanda avevano fatto altrettanto in Ardeche, alcuni riconfermando le proprie vittorie.
«Probabilmente – conclude – penso che l’altura di Kigali abbia dato i suoi effetti soprattutto perché, gare a parte, non abbiamo fatto quel carico di lavoro che solitamente facciamo durante i ritiri in altura. Ne abbiamo beneficiato al massimo, grazie anche al caldo. Personalmente io mi ero ambientato abbastanza in fretta e al rientro a casa ho recuperato bene. Anche dal lato della alimentazione non ho avuto problemi come magari è stato per qualcun altro.
«Posso dire che quest’anno avendo corso tanto all’estero con la mia squadra e poco in Italia, ero molto abituato a questi “stress” da viaggio e trasferte. Ora però la mia stagione è finita. Farò un paio di settimane di riposo senza bici prima di iniziare a pensare al 2026 e alla categoria U23».