KIGALI (Rwanda) – Lorenzo Finn e lo strepitoso manipolo degli under 23 hanno portato un oro così abbagliante da spingere anche la Gazzetta dello Sport a dedicargli uno spazio in prima pagina e ben quattro pagine a seguire. L’oro è prezioso, ma se lo fissi troppo a lungo tende a sfocare lo scenario intorno. Finn ha davvero quello che serve per arrivare alla mensa dei grandi. Siamo certi tuttavia che il nostro ciclismo sia in grado di intercettare tutti i potenziali campioni che produce? Ecco perché è necessario che la vittoria di Lorenzo si trasformi in una spinta e non in un freno, come quando ci si siede convinti di avere quanto basta.


Tre amici al box
Vi raccontiamo al riguardo un interessante scambio di opinioni fra Johnny Carera, Dino Salvoldi e il sottoscritto, avvenuto davanti al box dell’Italia. La teoria dell’agente di Pogacar (e svariati altri corridori) suggerisce che ormai è impossibile che un atleta sfugga agli osservatori. Persino un cicloturista che vince le gran fondo viene “pesato” e indirizzato verso i devo team o le squadre WorldTour. Ci sono così tanti dati a disposizione, che tutto il meglio viene a galla e gli altri probabilmente farebbero meglio a smettere, non avendo i mezzi per andare avanti. Un tema che con lui avevamo già affrontato in precedenza, scrivendone un primo editoriale.
A nulla in un primo momento sono valse le nostre obiezioni, secondo cui non tutti i dati di tutti i corridori sono realmente disponibili. Ci sono infatti parecchie società giovanili incapaci di seguire i loro ragazzi come meriterebbero. Di conseguenza, l’Italia perde una percentuale significativa di atleti senza averli neppure valutati.
Niente da fare: secondo Carera non si sfugge. Chiaramente il suo è il punto di vista di chi intercetta i più giovani non per mecenatismo, ma per ricavarne un utile in prospettiva futura. Se i numeri sono alti e il parco atleti è pieno, l’agente può dirsi soddisfatto. La percentuale di quelli che vengono portati al professionismo in tenera età e poi smettono è un dato su cui ci soffermeremo in altra occasione.




I talenti poco seguiti
Salvoldi, che da tre anni ha preso in mano la categoria juniores, ha ascoltato e poi ha detto la sua. In tante squadre più piccole ci sarebbero pure dei tecnici capaci, ma devono arrestare il loro slancio davanti a presidenti avanti con gli anni. Imprenditori che usano la squadra per raccontare il lavoro delle aziende e per vantarsi con i loro concorrenti. Oppure presidenti che ingaggiano corridori con tanti punti, senza guardare quelli del loro paese che magari avrebbero margini inesplorati. Loro non hanno interesse a sposare le metodologie del ciclismo moderno e forse non ne vedono la necessità.
Questo fa sì che il talento ci sia – ha fatto notare il cittì degli juniores – ma non venga seguito come richiederebbe. In questo ciclismo così spinto ormai anche fra gli allievi, è realmente possibile che dei ragazzi non riescano ad emergere? I test fatti in pista lo confermano: in Italia tanti atleti si perdono lungo il percorso. Perché non tutti hanno alle spalle società all’altezza e non tutti finiscono nei radar degli agenti. E poi è normale che siano quasi unicamente gli agenti a gestire il futuro del ciclismo italiano? A quel punto Carera ci ha pensato un istante e ha ammesso che la posizione di Salvoldi (che è anche la nostra) sia effettivamente centrata.


Il modello britannico
Ma Salvoldi è andato oltre e ha spiegato che in Gran Bretagna, il giovane che voglia iniziare a praticare ciclismo si rivolge ai centri locali di British Cycling, la loro federazione. Viene inserito in un processo di valutazione e indirizzato dove meglio il suo talento sarà valorizzato. In questo modo, prima ancora che si capisca se il ragazzino sarà un campione oppure un brocco, il suo profilo sarà stato valutato da chi governa il ciclismo del Paese.
In Italia, il bambino che voglia iniziare deve necessariamente iscriversi a una società. La scelta magari avviene per vicinanza, senza sapere più di tanto quale contesto troverà. Senza sapere se sarà guidato in un cammino di crescita che saprà valorizzarlo. Arriverà all’attenzione della Federazione e degli agenti soltanto se sarà in grado di fare dei risultati. Ma questi non sono scontati se la crescita si svolgerà lungo un percorso inadeguato.
Le scuole calcio sono un’altra cosa. Intanto sono una presenza più ramificata sul territorio e poi anche le più piccole hanno l’occhio di una grande squadra che periodicamente analizza le schede dei bambini. E’ interesse delle società farli crescere, anche per il valore economico dell’atleta, che nel ciclismo per le società di base è davvero poca cosa. La qualità del lavoro di Salvoldi di questi anni si basa sui test che il tecnico azzurro ha iniziato a svolgere sui territori, attirando i corridori che avrebbero difficoltà a raggiungerlo a Montichiari e facendone una prima valutazione. «Il ciclismo non è per tutti – ha detto giustamente Carera – poiché richiede mentalità e dedizione fuori dal comune». Ma se il ciclismo si ferma in Toscana e scendendo verso il Sud e le Isole ha grosse difficoltà per l’assenza di squadre e calendario, quanti sono i giovani corridori che avrebbero delle potenzialità e al ciclismo neppure ci pensano?


Un sistema superato
La nazionale non può fare tutto, soprattutto in questi anni di spese ridotte. Su pista allena i suoi ragazzi e i risultati si vedono, ma non può sostituirsi alle società. Può offrire ai ragazzi un calendario di crescita senza la pressione del risultato che magari è tipica delle squadre, ha spiegato Salvoldi, con la finalità di crescere con la giusta consapevolezza. Quello che invece potrebbe fare la Federazione (in apertura con il ct Amadori e Finn, c’è il presidente Dagnoni) è cercare di avvicinarsi al modello britannico diventando con i suoi Comitati Regionali un hub per l’accesso allo sport.
La famiglia si rivolge al settore tecnico regionale: saranno loro a fare una prima valutazione del bambino e ad indirizzarlo verso le società che lavorano meglio. Per le altre (ad esempio quelle che fermano il ragazzino che per l’anno successivo ha comunicato di voler cambiare maglia) non deve esserci posto, a meno che non cambino registro. A monte, una fase di formazione e screening per chi gestisce le società di base permetterà di avere il vero polso della situazione. Va sradicato un sistema che ormai non va più bene, creando un meccanismo più esatto e in linea con le esigenze attuali. La Federazione ha tutte le armi per riprendere in mano lo sviluppo dei corridori, facendo in modo che gli agenti siano figure necessarie, ma non gli arbitri dello sviluppo. Servono voglia e capacità, il resto c’è tutto.