Le 1000 vittorie del Wolfpack, un box speciale e Tegner racconta…

15.09.2025
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Era un pomeriggio rovente dell’ultimo giugno, il 12 per la precisione. Alle 16,54 Remco Evenepoel tagliava il traguardo di Saint-Péray 2025, vincendo la cronometro del Giro del Delfinato. Questa vittoria però non era come le altre, almeno non per lui. Era infatti la numero 1.000 della sua squadra, la Soudal-Quick Step. La millessima del Wolfpack.

Il primo a firmare questa lunga lista fu Servais Knaven, che il 4 febbraio 2003 conquistò la quinta tappa del Tour of Qatar a Doha. All’epoca la squadra si chiamava Quick Step-Davitamon. Non poteva immaginare a cosa aveva dato il via (in apertura foto Pedersen).

Per celebrare questo traguardo unico, il team belga ha inviato un box a tutti gli atleti che hanno contribuito al bottino di vittorie. Dentro c’era un attestato, redatto nella lingua del corridore, che ringraziava per il contributo. Un’iniziativa del Wolfpack di cui parliamo con Alessandro Tegner, oggi Head of Marketing, Communication and Partnerships. Lui iniziò con Patrick Lefevere ed è uno dei pochissimi ad essere rimasto: una colonna del gruppo, oggi guidato dal CEO Jurgen Foré.

Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Alessandro, partiamo dalla fine: il diploma…

Tutto è nato perché questa cosa delle mille vittorie non volevamo farla passare così. E’ un traguardo che, per quanto ne so io, siamo la prima squadra a tagliare e quindi abbiamo detto che il merito è di tutti, dei corridori, dello staff, di chiunque abbia lavorato con noi. Rincorrere anche lo staff per dare quel box sarebbe stato troppo complicato, dato che sono passate centinaia di persone. Così abbiamo deciso di concentrarci sugli atleti che hanno vinto almeno una corsa con noi, che sono 109.

E come è nata questa idea?

Abbiamo fatto maglie, creato contenuti, ma per gli atleti abbiamo pensato a un box speciale, con il logo “1000 and beyond” che abbiamo disegnato appositamente. Dentro c’era l’elegante attestato personalizzato e un puzzle in laminato Quick Step.

Come mai Quick Step?

Perché, anche se oggi il nostro primo sponsor è Soudal, Quick Step è l’unico che è rimasto dal primo all’ultimo giorno. Una scelta che abbiamo condiviso con Soudal che ha accettato di buon grado. Ed anche questo è stato bello: erano consapevoli della grandezza di questo traguardo. Il puzzle rappresentava un ciclista e sulle ruote c’era il logo della squadra con scritto “1000 and beyond”.

Quando questa operazione ha preso corpo quali sono state le reazioni?

Un’emozione enorme. Per tutti, atleti e staff. Persone come Bramati o Peters che sono lì da sempre l’hanno vissuta con grande trasporto. Come me del resto…

A proposito di sempre, tu ci sei sempre stato in questo gruppo. Come ci sei arrivato?

Con una partita a biliardo con Frank Vandenbroucke! Eravamo a Frejus per un ritiro invernale. Era dicembre 2002 e dal 2003 è iniziato questo viaggio. Quindi sì, le ho viste tutte.

C’è una vittoria di queste mille che ha un sapore particolare per te?

Per chi lavora in un team ci sono vittorie più significative di altre più note e roboanti. Io penso a Paolo Bettini che vinse il Giro di Lombardia da campione del mondo pochi giorni dopo la morte del fratello. Una storia incredibile, con la squadra che lo aiutò ad allenarsi, Bramati che lo seguì in quelle poche ore di bici che aveva fatto in settimana e lui che disse ai genitori. «Andate sul Ghisallo perché lì mi fermo. Lì ci sono tanti tifosi e voglio onorare questa maglia». Invece di fermarsi tirò dritto e fece un’impresa memorabile.

Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
In effetti è toccante…

Un’altra vittoria mitica per me è quella di Wouter Weylandt a Middelburg, nella tappa del Giro d’Italia 2010, partito dall’Olanda. Lui era stato criticato anche da Lefevere perché non aveva corso bene le classiche e gli era stato detto che doveva rispondere con i pedali. E così ha fatto: in una tappa ventosa, con cadute a ripetizione, rimescolamenti vari, arrivò con un gruppetto e li batté tutti in volata. Io ero lì: ho ancora in mente l’abbraccio che gli ho dato. E’ stato un momento bellissimo.

Come hai detto tu, Alessandro, parli di questi successi perché li hai vissuti dall’interno. Sarebbe troppo facile citare la Sanremo di Alaphilippe o una Roubaix di Boonen…

Per esempio, di Boonen la corsa che mi è rimasta più nel cuore è la Gand-Wevelgem del 2011, quando rientrava da un infortunio al ginocchio. Era un anno in cui, come si dice in gergo, non la muovevamo. Tom rientrò e con una delle sue magie vinse quella volata. Se lo chiedete a cento persone, nessuno vi indicherà mai quella vittoria, ma per me rappresentò il suo ritorno al livello che ci aspettavamo. In tempi più recenti ricordo la vittoria di Alaphilippe in Colombia, con uno scatto alla Saronni, oppure quella di Kwiatkowski all’Amstel Gold Race. Ma le prime tre che ho citato restano le più sentite.

A proposito di Boonen: è lui il più vincente con voi?

Sì, con 120 successi. Abbiamo preparato due bici blu con dettagli oro: una per chi avrebbe firmato la vittoria numero 1000 e che quindi è andata a Remco. E una per Boonen, il nostro corridore più vincente di sempre. Entrambi sono stati felici di questa sorpresa. Ma tutti lo sono stati. Vi dico: quando i corridori hanno iniziato a ricevere i box commemorativi, vedendo i social dei loro colleghi che ricevevano l’omaggio, alcuni ci hanno chiamato per assicurarsi che non ci fossimo dimenticati di loro.

La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen, in foto, ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
A fine stagione vi lascerà Remco Evenepoel, un faro megagalattico che ovviamente richiede un certo riguardo sia nel modo di correre che nel supporto a livello di uomini. Adesso sembra potrà riemergere forte il senso di gruppo, il Wolfpack?

Il senso di gruppo non è mai venuto meno. Questa squadra ha sempre fatto la sua forza con il gruppo, pur avendo grandi individualità. Mi ricordo, per esempio, Addy Engels che una volta dopo una corsa, vedendo seduto Bettini in lontananza, mi disse: «Caspita, ho tirato per lui tutti quei chilometri ed è stato un piacere!». Capite? Ci sono dei momenti nei quali la squadra emerge forte. La filosofia del Wolfpack è tutta lì. E questo si è rivisto anche recentemente.

Quando l’avete rivisto di recente?

Al Tour, sul Mont Ventoux. Penso al direttore sportivo (Bramati, ndr) che ferma Eeckhorn in fuga per farlo tirare e tenere la fuga a una certa distanza. A un corridore come Valentin Paret-Peintre che attacca e Van Wilder che rientra e, invece di giocare le sue carte, si mette davanti e gli fa il ritmo perché sa che quel giorno è la volta del suo compagno. Quelli sono momenti bellissimi. Momenti che abbiamo avuto anche con Remco. Alla fine Evenepoel ha vinto oltre 50 corse con noi.

Ora il mercato vi riporta in una nuova fase…

Abbiamo creato una squadra bilanciata, come avete visto, con acquisti che sono investimenti importanti e anche un po’ strategici nell’economia della squadra. C’è chi aiuterà e chi si giocherà le sue carte. L’importante è continuare a crescere. Perché è vero che abbiamo festeggiato le mille vittorie ma siamo già a 1.016… Questa è la mentalità che conta e che non deve cambiare mai.

Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria da vero Wolfpack
Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria di squadra
Cosa puoi dirci del passaggio da Patrick Lefevere a Jurgen Foré?

Lo spirito che è stato creato in quegli anni con Patrick resta. Lefevere è uno che ha sempre trasmesso questa grinta, il senso del gruppo: è lui l’uomo che ha dato una direzione a tutto questo. Io in realtà non ho fatto altro che mettere un nome, Wolfpack, a una cosa che sentivo, che esisteva già e che ho vissuto in prima persona. La grande cosa è che il Wolfpack è diventato talmente sentito che ora ci contraddistingue in modo preciso. Non è un’invenzione di marketing.

Chiaro…

Anche con Jurgen in questi giorni ci diciamo sempre che il Wolfpack è come una scatola in mezzo alla tavola e tutti ogni giorno ci devono mettere dentro qualcosa. Ecco, questa è la nostra realtà: continuare a far crescere questa cosa, metterci dentro un pezzettino e proteggerla. E mi piace tanto il fatto che tutto questo lo abbiano capito benissimo tutti coloro che lavorano nel team. Che abbiano capito che questa fiamma va continuamente alimentata.